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FREEWAY JAM Piccoli mondi Freemood Promotion 2014 ITA

Il numero dei “piccoli capitoli” del prog italiano post seventies è enorme. Con le tantissime uscite discografiche che, a partire dagli anni ’90, hanno arricchito la discografia progressive della nostra penisola, è facile lasciarsi scappare qualcosa o anche dimenticare chi, con una toccata e fuga, ha lasciato quello che in apparenza è solo un piccolo segno. E talvolta può essere un peccato. Prendiamo il caso dei Freeway Jam. Nel 2002 hanno realizzato un piccolo gioiello di jazz-rock progressivo con “Pensieri imperfetti”, non distante stilisticamente da quanto fatto dai più noti D.F.A. e Accordo dei Contrari e mi chiedo quanti oggi ricordino quell’album. A distanza di dodici anni, un po’ a sorpresa, ci ritroviamo di fronte ad un nuovo parto per questa band, intitolato “Piccoli mondi” e che ci accompagna per un ascolto di un’ora e cinque minuti. Si attacca subito con una forte iniezione di energia attraverso “Testadipazzo”, quasi quattro minuti di jazz-rock infuocato, dalle trame ricche e coloratissime, in cui gli strumenti volano in ogni dove, spesso incrociandosi, ma anche pronti a destreggiarsi in abili solos. Non tutto l’album si spinge però in questa direzione precisa ed altri brani contribuiscono a renderlo più variegato, ma non meno affascinante. A partire dalla ballad jazz-soul “Sur”, in cui facciamo il primo incontro con la splendida voce di Silvia Dalla Noce, magicamente accompagnata dal pianoforte. Almeno all’inizio, poi nella seconda metà di questa composizione la band si lancia in spruzzate funky coinvolgenti con la chitarra a dettar legge; cosa che accade in maniera ancora più evidente in “Istanbul city” altro pezzo in cui compare la Dalla Noce. E ancora possiamo ascoltare zampate di jazz allegro che flirta contemporaneamente con una fusion tutt’altro che autocompiacente e con il Sud America (“Son do mar” e “El bailarino bebado do Rio”), atmosfere spacey, sognanti e misteriose in “Der blaue reiter”, capaci anche di esplodere in un sound vicino al prog sinfonico e di riavvicinarsi al jazz-rock nel finale, e persino le sonorità mediterranee della PFM di “Jet lag” trasportate nel nuovo secolo con “Danny’s land”. Mostruosi, poi, i diciassette minuti della title-track, suite compattissima nonostante i numerosi cambi di tempo e di atmosfera, suddivisa in cinque movimenti e incredibilmente trascinante tra energia vibrante, squarci psichedelici, calore mediterraneo, recupero degli insegnamenti elettrici davisiani, con la chitarra elettrica che lancia fuoco e fiamme, alternandosi con l’eleganza jazz delle note del piano elettrico. La conclusione affidata a “Maruboto in Hollywood” porta a termine il lavoro con un brio travolgente, merito di un groove d’alta scuola e di nuove pennellate funky che rendono impossibile l’ascolto restando fermi… Tra somiglianze, alla vicina o alla lontana, si avvertono Brand X, Weather Report, Herbie Hancock, Allan Holdsworth e potremmo citare ancora diversi altri artisti, anche se non si vede una musa ispiratrice ben precisa per questa band, che si ripropone oggi nel migliore dei modi, grazie al talento di Luca Gramignoli (chitarre), Renzo Marchetti (batteria), Davide Pavesi (piano e organo), Danilo Somenzi (basso) e di due ospiti, la già citata Silvia Dalla Noce ed il percussionista Fabio Fumagalli. I D.F.A. restano probabilmente il miglior prodotto italiano in ambito jazz-rock progressivo degli ultimi tre-quattro lustri, ma con i loro due album i Freeway Jam hanno dimostrato di poter essere inseriti tra i più quotati “inseguitori”.


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Peppe Di Spirito

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