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FORCE OF PROGRESS A secret place Progressive Promotion Records 2020 GER

I Force of Progress sono formati da musicisti abbastanza esperti, provenienti da altre realtà già avviate nel panorama tedesco: Hanspeter Hess (The Healing Road - tastiere), Dominik Wimmer (Sweety Chicky Jam - batteria, tastiere e chitarra), Chris Grundmann (Cynity - chitarra, tastiere, basso, sintetizzatori) e Markus Roth (Marquette, Horizontal Ascension - basso, tastiere, chitarra, sintetizzatori). Personaggi che come si può notare si interscambiano anche gli strumenti principali, presentandosi quindi con una forte preparazione tecnica e potenziale versatilità. E in effetti, in questo secondo album i quattro teutonici sciorinano capacità non da poco, inserendo elementi jazz/fusion in quella che è di fatto una proposta di stampo prog-metal strumentale, lungo sette pezzi che non scendono mai sotto i cinque minuti. E quando sembra di essersi fatti ormai un’idea ben precisa, si viene almeno in parte smentiti a lavoro già ben avviato.
“The Hand Sculpted Heart” è vorticosa, monolitica, metallica e classicheggiante, con qualche piccolo respiro sparso, simile alle riproposizioni storiche dei Telergy. Di sicuro, il fulminante assolo di tastiere, su una robusta base, porterà alla mente i primi Dream Theater, anche se la ripresa da colossal fin troppo enfatico potrebbe alla lunga stancare. Ovviamente l’altro riferimento è quello dei Liquid Tension Experimet, noto side project proprio di Portnoy e Petrucci, ma è bene specificare che in questo contesto non vi è comunque la medesima fluidità. “The Perfect Element”, con i suoi otto minuti e passa, è un buon paradigma della proposta portata avanti nella prima parte dell’album: riff pesanti e controtempi simili a quelli di “Metropolis pt. 1”, intervallati di colpo da una ritmica funky e da dei fiati jazz (presumibilmente sintetizzati), per poi riprendere con un complicato assolo di chitarra. Fa la comparsa uno degli ospiti, Sebastian Schleicher proprio alle sei corde, in un andamento davvero tortuoso; il tema principale, indubbiamente prog-metal, viene costantemente interrotto da qualche elemento che ne modifica il corso. Questo richiede più ascolti, perché il fluire a singhiozzi contiene in sé davvero tanti spunti, che in primo momento potrebbero sembrare un tutt’uno caotico e complesso. Ma nella realtà c’è molto di più…
La successiva “New Reality” parte più heavy che mai, inizialmente parecchio cadenzata e poi con gli assoli di synth, intervallati da sporadici momenti di quiete che lasciano il posto sempre a queste tastiere che a livello solista fanno la parte del leone. C’è però spazio per l’assolo di chitarra del nuovo ospite Achim Wierschem, prima che l’aria torni a ribollire nella fase della “creazione”. Gli oltre undici minuti di “Circus Maximus” si aprono con chiare influenze prog e fusion; un violino sinistro si aggira con delle voci ridenti di folla nello sfondo, lasciando il posto alla chitarra acustica di Sebastian Mikolai che si muove tra vari suoni ad opera dei sintetizzatori, tra cui quello breve di alcuni flauti. La prima metà del brano si chiude melodicamente e dopo un nuovo inizio che poteva sembrare un ritorno al prog-metal, l’andazzo sembra quasi da… lounge bar! Il finale si trascina fin troppo stancamente, non mantenendo quelle promesse che si erano intraviste. Da segnalare la presenza dell’ultimo special guest, Claus Flittiger, anche lui impegnato con un assolo di chitarra.
Bene, ormai il quadro sembra delineato in ogni sua parte. E invece, “A Secret Place” smentisce tutto, segnalandosi come il pezzo migliore ascoltato fino a questo momento, melodico grazie ad un approccio pianistico simile a quello di Jordan Ruddess; intermezzo sinfonico (un po’ pesante…) e poi si va avanti con leggerezza e spensieratezza, sempre nello stile solista del succitato tastierista (tra le file anche di Dixie Dregs, Liquid Tension Experiment e Dream Theater). Con “The Steps To The Precipice” non solo si continua su questa strada, ma traspare anche un chiaro amore per Mike Oldfield. Ciò non ostacola di certo complicati controtempi dove batteria e basso danno il meglio, ma in tutto questo si innestano suoni di flauti che fanno da apripista alle drammatiche sequenze di ideali scale sdrucciolevoli verso il precipizio, nella cui parte conclusiva si ritiene opportuno dar maggior spazio al pianoforte, concludendo di nuovo tramite i sintetizzatori. Chiusura con “Äggressor”, che come da titolo parte assolutamente aggressiva, in stile power metal, stoppandosi di colpo e lasciando respirare l’ascoltatore grazie ad un piano che suona in lontananza. Quando i riff tornano a colpire duro, è l’organo a fare la differenza e a dare colore, con un chiaro riferimento anni ’70, prima che le più moderne tastiere in stile new-prog narrino a modo loro quanto racchiuso nelle partiture. Da segnalare che ad ogni interruzione segue poi sempre qualcosa di interessante, come ad esempio un assolo di chitarra finalmente entusiasmante, anch’esso prontamente stoppato, preludio all’aggressione finale.
Per gli amanti del progressive-metal questo nuovo lavoro del quartetto tedesco è assolutamente da ascoltare e riascoltare, proprio perché vi sono vari elementi che come detto all’inizio possono sfuggire. Ripetuti ascolti che potrebbero farlo apprezzare anche a tutti coloro che hanno una mente un po’ più aperta e non disdegnano determinate proposte, anche se non propriamente “ortodosse”.



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Michele Merenda

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