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GUTBUCKET A modest proposal Cuneiform Records 2009 USA

Energia, jazz, follia, imprevedibilità, spirito di ricerca, voglia di esplorare e di impegnarsi su più fronti. Sono tutti elementi molto importanti per il quartetto newyorkese dei Gutbucket, che cerca ogni esperienza possibile per soddisfare la propria sete di musica. Si tratta di una band che, a ben guardare, vanta un curriculum di tutto rispetto, ma che, almeno in Italia, nelle cronache del progressive non ha avuto ancora il giusto riscontro. Sintetizzando e menzionando solo alcune delle loro molteplici avventure, ricordiamo che i Gutbucket hanno esordito sul mercato discografico nel 2001 con l’album “Insomnicacs dream”, proseguono un’intensa attività live, che li vede impegnati su più fronti, sia negli States (e in alcune città hanno uno zoccolo duro di fan) che all’estero, hanno proposto la loro musica come sottofondo per film classici del passato, hanno collaborato con altri artisti e alle più disparate manifestazioni… In poche parole, il chitarrista Ty Citerman, il bassista Eric Rocwin, il sassofonista Ken Thomson e il batterista Adam D Gold (che recentemente ha sostituito Paul Chuffo) non stanno mai fermi e hanno continuo bisogno di mostrare la loro inventiva. Il quarto album, intitolato “A modest proposal”, è un lavoro strumentale comprendente dieci brani decisamente ispirati, dai quali emerge la bravura dei musicisti sia nell’improvvisazione che negli arrangiamenti. Di tanto in tanto, alla strumentazione di base si aggiungono anche sonorità derivanti dal vibrafono, dall’organo Hammond, dal clarinetto e da effetti nati al computer (per niente invadenti). Una curiosità: nelle note del libretto che accompagna il cd la prima cosa indicata è che “tristemente” non è stato usato il mellotron durante la registrazione; sarà vera o ironica quest’amarezza? Ma andiamo a inserire il cd nel lettore… Ed ecco che una chitarra acida e distorta si fonde ai lamenti di un sax a tratti languido, a tratti nervoso, su ritmi corposi (“Head goes thud”, “A little anarchy never hurt everyone”); che gli impasti strumentali, i cambi di tempo improvvisi e le accelerazioni elettrizzanti riportano alla mente capolavori crimsoniani quali “21st Century Schizoid Man” e “Sailor’s tale” (“I am a jelly doughnut”), che jazz-rock e indie si avvicinano come non mai (“More more bigger better faster with cheese”), che si può ascoltare l’iniziale leggerezza semiacustica di “Carnivore”, attraverso un “post-jazz-rock” dal crescendo trascinante e che raggiunge vertici di irrequietezza nei quali è ancora possibile scorgere l’ombra di Mr. Fripp; che arriva persino un brano epico, dalle venature blues, ma col chiaro trademark Gutbucket (“Doppelgänger’s requiem”), che il jazz viene “trattato” in maniera quasi cabarettistica e un po’ appiana (“Lucy ferment?”), che ci si spinge verso “americanate” di classe, un po’ Primus, un po’ Phish (“C’mon it’s just a dollar”), che per sette minuti siamo avvolti in un jazz in cui convivono Davis, Coltrane, Zorn e Soft Machine (“Side effects may include”), che si arriva ad un finale potente ed esuberante con fiati protagonisti su ritmi quasi marziali (“Brain born outside of its head”). Nei cinquanta minuti di “A modest proposal” possiamo quindi trovare un sound che rimette a nuovo le idee dei King Crismon, il jazz classico, d’avanguardia e free, il R.I.O. non estremo, certe intuizioni dei Sonic Youth e tante altre diavolerie. Uno dei “best kept secrets” del prog d’avanguardia degli ultimi anni? Alla luce di questo ottimo album direi proprio di sì!



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Peppe Di Spirito

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