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GIANFRANCO GRISI L lech, l bosch, l‘ercabuan Istitut Cultural Ladin 2009 ITA

Non sempre le cose belle della vita te le ritrovi spiattellate davanti agli occhi. Anzi, i cultori dell’underground musicale sanno da tempo quanto sia inutile cercare certi capolavori nel superstore megagalattico, ma proprio per questo la soddisfazione di poterli infine ascoltare è ancora maggiore.
“L lech, l bosch, l’ercabuan” fa parte a pieno titolo di tale novero. Generato da quella fucina di idee che è l’Istitut Cultural Ladin, il CD lascia davvero a bocca aperta per la maiuscola straordinarietà di ogni singolo dettaglio. Prendendone in mano il libretto si viene subito conquistati dal magnifico tratto di Milo Manara, che ha saputo così bene interpretare le narrazioni popolari dolomitiche. Già, questo è il tema dell’opera: le leggende riguardanti il lago di Carezza e il gruppo del Latemar, il tutto shakerato col racconto di Dino Buzzati “Il segreto del bosco vecchio”. Tale corpus è stato poi plasmato dalle sapienti mani di Fabio Chiocchetti, il quale ne fece inizialmente lo spettacolo “L segret del lech de l’ercabuan”. La riproposizione firmata Gianfranco Grisi si snoda in quasi cinquanta minuti di autentica estasi sonora, in cui nulla è lasciato al caso.
Una fulgida gemma è ad esempio il baldanzoso tema di “Tel bosch de la Tomèra”, che apre e chiude il disco: fra Kronos Quartet e Penguin Cafe Orchestra, già sono delineate alcune delle preziose peculiarità. Un carezzevole flauto simil-canterburiano domina l’“Arieta de la Vivènes”. Quanto sono sofisticate e raffinate le melodie! Ma eccoci al primo pezzo dedicato a “L lech de l’ercabuan”, il lago dell’arcobaleno: “L Strion e la Vivèna”. I ghirigori pianistici di Grisi (che nel disco si cimenta anche alla concertina e al salterio) sono quantomai ammalianti, e l’ eccellente voce di Noemi Iori ci trasporta in una magica, fiabesca dimensione. La malinconia de “La cianzon del Vent Ostran”, accentuata dal mandolino, è contrappuntata dalla giocosa vivacità de “La cianzon del Tone Vagere”, mentre sa di antico, di corti rinascimentali, di cavalieri, di epicità, il saltarello di “Sautarel di Morchies”. Andando avanti, notevole la “Gavota de Pierùcol”, dai bei ricami flautistici quasi barocchi; il concept si fa drammatico ne “La sentenza del Tribunal del Bosch”, con gli epici, apocalittici accenti sviluppati dal connubio pianoforte-voce; tale registro viene mantenuto ne “La Stria de Majaré”, seconda tranche dedicata al lago dell’arcobaleno: ben interagisce, con Grisi e la Iori, il flauto di Monica Modena. I quasi sei minuti dello strumentale “Encanteisem” racchiudono soavi motivi, e la parte finale del concept (“I colores maraveousc”) si segnala per le incantevoli armonizzazioni.
Gli ispirati testi di Fabio Chiocchetti sono perfettamente inseriti nel tessuto musicale di questo lavoro garbato, bilanciato in maniera ideale fra antico e moderno, fuori dalle effimere tentazioni di ciò che è in voga. Un disco assolutamente ‘progressivo’, che verrà amato dai fans di Pierrot Lunaire, Galadriel, Finisterre. Un’opera esemplare anche sotto il profilo formale: oltre ai già citati musicisti, troviamo Pino Angeli (chitarra), Alessandro Boni (mandolino, chitarra), Franco Giuliani (mandolino, bouzouki, chitarra) e Rossana Caldini (violino, viola); al banco di registrazione il solito Marco Olivotto, ormai una garanzia. Un disco elaborato, ma sempre assai fruibile: in ciò consiste la sua vera forza.


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Francesco Fabbri

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