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GREENWALL The green side of the moon Filibusta Records 2017 ITA

Quinto album dopo tre anni di silenzio per la band del pianista (e anche batterista) Andrea Pavoni, grazie al quale viene trasposto in studio l’impegnativo spettacolo musicale portato avanti tra il 2012 ed il 2013. Un live act molto complesso, che prevedeva la propria reinterpretazione di un classico come “The dark side of the moon” (1973) dei Pink Floyd a cui faceva seguito l’intera suite “Il Petalo del Fiore”, comparsa per la prima volta nel 1999 in quell’esordio che per l’appunto veniva intitolato “Il petalo del fiore e altre storie”. Da sottolineare che nello spettacolo vi erano anche delle vere e proprie coreografie, con tanto di ballerini e proiezioni. Un qualcosa che ben si sposava con lo stile assolutamente “immaginifico” scelto per rimodellare quelle famose sonorità e che allo stesso tempo andava di pari passo con il tipo di visionarietà floydiana spesso alienata. È chiaro che saranno in tanti a gridare allo scandalo, soprattutto quelli che a suo tempo fecero (e continuano a fare) altrettanto per la scelta stilistica intrapresa da Waters & C., ma occorre dire che il mondo se ne farà una ragione… e accetterà anche queste vibranti indignazioni, continuando a girare come se nulla fosse!
Certo, si tratta di temi ascoltati praticamente da sempre, in luoghi anche e soprattutto commerciali, quindi determinate sonorità sono state abbondantemente interiorizzate e risulta difficile vederle/sentirle sotto un’altra veste. Qui, però, non è stata attuata una violenza sui brani originari – come invece fecero ad esempio i Flaming Lips nel 2009 –, bensì una scomposizione ed osservazione della musica tramite una lente differente, che poi la filtrasse in un’ottica dai colori non convenzionali. Operazione in tutto e per tutto simile alle attitudini dei Pink Floyd stessi, lo si ribadisce, che pone l’accento sulla consueta raffinatezza di questa realtà italiana. La voce acuta di Michela Botti ben si adatta ai nuovi arrangiamenti decisamente jazzati proposti fin dall’iniziale “Breathe”, apertura molto tranquilla ed essenziale, che porta immediatamente alla successiva “Time (including ‘Breathe’ reprise)”, la cui rilettura in questo caso appare davvero estraniante. Un’introduzione epica ed altisonante da colonna sonora, tipo “L’ultimo dei Mohicani” di Randy Edelman e Trevor Jones, il cui crescendo non culmina con l’immortale assolo di David Gilmour ma con un insieme sonoro composto da tastiere, il violino di Rebecca Raimondi e sax. Un risultato senza dubbio originale e su cui occorre meditare un po’ più a lungo per crearsi un’opinione precisa, ma nel frattempo si è passati a “The Great Gig in the Sky”, tramite la quale si può appurare che la scaletta originale viene smontata e sfruttata a seconda delle esigenze della riproposizione. Vi sono infatti accorpate un’inaspettata ripresa di “Time” e anche “Speak to me”. I celeberrimi vocalizzi che costituivano la bellezza del brano portante qui spariscono e vengono simulati nel finale dai sassofoni di Alessandro Tomei, impegnato a ricrearne le tonalità prima col sax tenore e poi con quello soprano, mentre in secondo piano lavora la chitarra dell’altro ospite Salvo Lazzara, il quale apporta l’esperienza dei suoi Pensiero Nomade. Una lettura dilatata che si immette in “Money”, tanto odiata ancora oggi dai puristi per il suo essere smaccatamente accattivante ed orecchiabile. Qui i Greenwall suonano quasi al completo, con Fabio Ciliberto al basso e Riccardo Sandro alla chitarra elettrica, dando ancora più swing; Michela forse canta su tonalità fin troppo acute, ma l’atmosfera – grazie anche al solito sassofono di Tomei – ricrea quelle città eternamente notturne e cupe, un po’ come quella della serie televisiva Gotham. E forse, tutta la musica fin qui ascoltata ne sarebbe stata un valido sottofondo, pregna com’è di fumi vintage. Quegli stessi che si possono ascoltare sulle note iniziali di pianoforte in “Us and Them”, che prima di approdare ad una versione molto vicina all’originale veleggia verso la malinconia dettata dal Moog. Molto spigliata è “Any Colours You Like”, giocata prima sui sintetizzatori di Pavoni e poi sul coinvolgente assolo delle sei corde di Claudio Ricci. Quest’ultimo contribuisce anche nella convulsa versione di “On the Run”, resa bene da un convincente lavoro di basso ad opera di Lorenzo Feliciati. Un colpo di genio è la riproposizione di “Brain Damage”, che a proposito di “menti danneggiate” manda in secondo piano l’estratto di una puntata in cui Bruno Vespa a Porta a porta intervista un noto politico italiano, mentre il pianoforte diviene sempre più incalzante, a cui poi risulta accorpata una brevissima parte del film “Ricordati di me”. “Eclipse” chiude questa rilettura, seguita da “Prelude for Rick”, dedicata da Pavoni al collega Richard Wright che da qualche tempo è volato a miglior vita, probabilmente verso quel famoso lato nascosto della Luna. La breve composizione, suonata solo dallo stesso Pavoni col sassofonista Tomei, costituisce di fatto il collante con la seconda parte dell’album.
Come detto, la lunga suite viene pubblicata in origine sull’esordio del 1999 e addirittura la prima versione risale a un demo di dieci anni prima. Mai soddisfatto completamente del risultato finale, Pavoni la rielabora e ne fa parte integrante dello show. Suite divisa in più parti, le prime due erano comparse rivedute e corrette sul precedente “Zappa zippa zuppa zeppa” nel 2014. Su quest’ultima fatica vengono riprese le restanti parti, dalla 3 alla 6b. Ci si continua ad avvalere del sassofono di Alessandro Tomei e delle sei corde di Claudio Ricci, oltre che del violino di Rebecca Raimondi. Partiture stavolta cantate in italiano ma sempre in quella forma di jazz molto levigato e d’atmosfera, elegante, affrontando tematiche esistenziali e spirituali, con accenti musicali un po’ inquietanti. Le ritmiche all’inizio sono rese pulsanti dal basso, anche quando procedono in chiave più meditativa, lasciando l’ascoltatore nella sezione successiva al romanticismo degli strumenti ad archetto e al flauto, prima di incattivirsi repentinamente. “Galleria e Uscita” è invece un chiaro riferimento ai PFM di “È festa - Celebration”. L’inizio di “Respirare pt. 1”, con il suo canto di uccelli, sembra un nuovo omaggio ai ‘Floyd – quelli di “Ummagumma” –, prima di entrare in atmosfere in parte alla Mike Oldfield; la seconda parte ne è la naturale evoluzione in forma canzone (che sa però un po’ troppo di canzoncina da “chiesa”). Chiusura definitiva con l’ennesimo omaggio floydiano, quella “Wish You Were Here” dall’album omonimo, la cui versione unisce idealmente Waters e Oldfield, grazie a violino e pianoforte, oltre alla voce decisa di Michela, che ben contrasta l’atmosfera delicata. Molto bello il finale in cui ci si lascia andare sulle note del sax e della chitarra elettrica. Ci sarebbe anche un altro tributo, “Mudmen”, estrapolata da quel fin troppo sottovalutato “Obscured by Clouds” del 1972, a suo tempo colonna sonora del film “La Vallée” di Barbet Schroeder, la cui cover è però presente solo nella versione in doppio vinile.
Quante parole per descrivere questo mosaico formato da tanti acquerelli che diventano sempre più densi… Un’operazione coraggiosa, realizzata solo grazie al crowdfunding dei fans, tutti peraltro citati. Album da ascoltare, da apprezzare e assolutamente da promuovere.



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Michele Merenda

Collegamenti ad altre recensioni

GREENWALL Il petalo del fiore 1999 
GREENWALL Elektropuzzles 2000 
GREENWALL From the treasure box 2005 
GREENWALL Zappa zippa zuppa zeppa 2014 

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