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HUXLEY WOULD APPROVE Grave new World - part 1 autoprod. 2016 GER/CAN

Huxley Would Approve è il progetto del tedesco Rainer Schneider (tastiere e voce) e del canadese Joe Bolieiro (testi e concept) che si sono conosciuti ed hanno collaborato via internet e che hanno reclutato per quest’album Judith Mattes-Schneider (voce), Werner Melchior (chitarre) e Olaf Arweiler (tastiere), oltre ad altri non specificati musicisti.
Cosa succede quindi se un duo tedesco/canadese ispirato dagli scritti di Aldous Huxley decide di ispirarsi musicalmente a Roger Waters? Succede che ci dobbiamo confrontare con un album come questo, un sorta di mix di “The Wall” e “The Final Cut”, con un concept esistenziale in cui il protagonista si imbarca in un viaggio di auto-scoperta, dopo essersi guardato allo specchio e riflettuto sulla propria immagine. Il viaggio lo porterà alla scoperta della sua vera anima (secondo il concetto di Carl Jung), in un mondo che ricorda molto quello, appunto, descritto da Huxley (Brave New World… Il Mondo Nuovo nella versione italiana).
La musica e l’umore dell’album è a tinte molto fosche, decisamente inquietante a tratti, con una costante andatura lenta e cadenzata, fatta di toni drammatici, inquietante anche nei momenti apparentemente più rilassati. I 40 e poco più minuti dell’album contengono 7 canzoni (non contiamo il brevissimo ed effettistico intro di “Rewind” che, con i rumori di quello che sembra un bombardamento, ci riporta proprio all’inizio di “The Wall”) ricche di effetti sonori, atmosfere dilatate e suoni in punta di dita. Sono rari i momenti in cui la musica sale leggermente di tono, privilegiando un andamento, come detto, lento ed inquietante, talvolta guidato dalla chitarra acustica e con una ritmica quasi mai sopra le righe.
I maestri sono sempre e costantemente vicini in quanto ad ispirazione, ma comunque lontani… molto lontani in quanto a riuscita. L’avvio di “Grave New World” ad esempio sembra voler veramente fare il verso a Waters (“Goodbye Cruel World”), salvo stemperarsi in un simil-blues lento e dai toni drammatici (ma questa non è un’eccezione).
L’album, in definitiva, non è certo sgradevole e fallimentare; si riesce a seguire la trama musicale (quella concettuale mi risulta un po’ ermetica) delle canzoni che si susseguono senza soluzione di continuità, riuscendo a gradire alcune situazioni musicali, benché molto pesanti. Ci si potrebbe assestare quasi su un livello di sufficienza, se non fosse per la costante sensazione di già sentito che va spesso al di là della semplice ispirazione.


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Alberto Nucci

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