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ISPROJECT The archinauts AMS Records 2017 ITA

Questo debutto discografico ci fa fare la conoscenza di due promesse del progressive rock italiano, Ivan Santovito e Ilenia Salvemini, giovani, pugliesi, entrambi cantanti e il primo anche compositore ed autore di tutti i brani dell’album. Al loro fianco ci sono dei musicisti preparatissimi, a partire dal tastierista Giovanni Pastorino, dal chitarrista Simone Amodeo e dal batterista Paolo Tixi (tutti reduci dall’esperienza con la Z Band di Fabio Zuffanti), proseguendo con il bassista Andrea Bottaro e concludendo con la partecipazione speciale del fiatista dei Delirium Martin Grice. Lo stesso Zuffanti viene coinvolto come produttore.
La grande cura dedicata a questo disco, a partire dalla parte musicale, proseguendo con i testi ispirati al racconto “Ho venduto la morte all’amore” di Nicola Boccadoro, fino a toccare l’aspetto grafico della confezione, fa capire già al primo impatto che siamo al cospetto di un prodotto estremamente professionale. Con la strumentale “Ouverture” posta come incipit si entra subito in un mondo musicale legato al prog sinfonico, tra delicatezze pianistiche e momenti di insieme pomposi al punto giusto. E se “The architect” prosegue più o meno su questa scia, con belli intarsi strumentali e classici cambi di ritmo, al contempo ci mette di fronte per la prima volta alla bella voce di Ivan, che si inserisce bene nel contesto grazie ad un timbro caldo e ad una buona pronuncia inglese. Dopo un po’ si inserisce anche Ilenia, che sembra avere un ruolo un po’ più di contorno, ma la sua performance permette di aggiungere un tocco soave che rende ancora più interessante l’ascolto.
Il discorso cambia leggermente con “Mangialuce”, che trasporta in sonorità più sognanti e legate ai primi Porcupine Tree, capaci sicuramente di trasmettere piacevoli suggestioni. L’influenza della band di Steven Wilson si fa ancora più evidente nei brani successivi, soprattutto quando l’aspetto melodico prende il sopravvento: “The city and the sky” e “Lovers in the dream” sembrano recuperare quel pop-prog raffinato che era la caratteristica principale di “Stupid dream”. In questi pezzi, inoltre, è possibile ascoltare dei riusciti interventi solistici di Amodeo (che risentono chiaramente dell’influenza di Gilmour) e tocchi addirittura vagamente banksiani di Pastorino, che impreziosiscono ulteriormente brani già bene ispirati. “Mountain of hope” riporta al romanticismo iniziale, anche se il tutto si sposta verso un’area Camel, o anche Hostsonaten, tanto per rimanere in ambiti zuffantiani.
A concludere il tutto c’è la suite di quattordici minuti e mezzo “Between the light and the stone”, rock sinfonico che più tradizionale non si può, con l’introduzione delicata e classicheggiante e gli sviluppi pieni di cambi di umore, melodie ariose, ottimi interventi cantati e delizie strumentali continue. Si tratta proprio di una serie di impronte sonore provenienti dal passato, ma riproposte con eleganza e con un sound moderno e pulitissimo.
Possiamo quindi parlare di nuovi potenziali talenti per il mondo del prog, capaci di farsi apprezzare non tanto per i virtuosismi, quanto per le atmosfere che riescono a creare; vedremo come si svilupperà la carriera di questo progetto presentatosi con un album che lascia prevedere un futuro roseo.



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Peppe Di Spirito

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