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IZZ Don't panic Doone Records 2019 USA

I Newyorkesi Izz sono dei veterani del nostro genere, sulle scene ormai da vent'anni. Era infatti il 1999 l'anno di “Sliver of a Sun”, primo album di una ragguardevole discografia che con questo ultimo lavoro raggiunge quota nove (considerando solo le uscite in studio). Nel tempo il nucleo portante della band è rimasto abbastanza stabile con una militanza dei fratelli Galgano, Tom alle tastiere e John al basso, alla chitarra acustica e alla voce, ma anche dei due batteristi Greg Dimiceli e Brian Coralian e del chitarrista Paul Brenner che risale agli albori della carriera del gruppo. L'ingresso della coppia di cantanti Laura Meade e Anmarie Byrnes è cosa un po' più recente ma le loro voci hanno comunque contribuito a forgiare uno stile abbastanza inconfondibile. Gli Izz hanno sempre goduto ai miei occhi, e probabilmente il discorso è valido anche per altri appassionati, di un'ottima reputazione. La loro musica è da catalogare fra le uscite di qualità del Progressive Rock sinfonico e quel tocco di ecletticità tutta americana contribuisce sicuramente a rendere il tutto più interessante.
Devo però dire che i loro lavori si sono spesso dimostrati un tantino altalenanti e persino nell’arco di uno stesso album, e a volte di una stessa canzone, difficilmente vengono mantenuti standard costantemente elevati dall’inizio alla fine. Questa volta mi sembrava quasi ce l'avessero fatta, grazie soprattutto ad una bellissima suite che si intitola “42” (ma la cui durata si attesta sui 18 minuti) in riferimento al numero di maglia del celebre cestista Jackie Roosvelt Robinson, in cui gli Izz sembrano giocarsi davvero il tutto per tutto, senza esclusione di colpi. Anche la partenza non è assolutamente male. “Don't Panic”, la frizzante title track, sfoggia tutta la sua ammiccante sinfonicità, facendo leva su cori e ritornelli affabili per attrarre e condurre l'ascoltatore dritto dritto verso la già citata “42”. Il brano brilla per i suoi ritmi geometrici, per gli intarsi di chitarra e le cascate di synth che sanno molto di Yes. Si spinge molto sulla batteria che cavalca su ritmi agili e le architetture tastieristiche sono maestose con melodie solari, fughe ed assoli. Trascorsi i primi cinque minuti, interamente strumentali, entrano finalmente in scena i cori, con le eleganti voci femminili in primo piano, e l’attenzione viene focalizzata essenzialmente sul cantato. Il brano appare molto equilibrato e ben arrangiato con elementi eterogenei cuciti insieme in modo armonioso. Ritroviamo similitudini con i Glass Hammer ma scopriamo anche qualche tocco Kraut oltre ai consueti e classici richiami ai Genesis e agli Yes.
Fin qui direi che tutte le aspettative sono state ripagate alla grande e “Six string theory”, un brano interamente acustico per chitarra che gioca sul concetto fisico della teoria delle stringhe ma anche col termine che in inglese designa le corde degli strumenti, si lega in modo aggraziato alla musica che lo precede. Trovo però un po' sotto tono i due pezzi conclusivi. “Moment of inertia” è un pezzo piuttosto elettrico che gioca molto sulla chitarra che lavora sia per riff che con fraseggi. A dire il vero l’apertura classicheggiante dominata dal piano lascerebbe presagire altro ma ad un certo punto i suoni si fanno distorti, taglienti e dissonanti coadiuvati da una batteria asciutta e scarna. Nella sua porzione centrale il brano sembra quasi incepparsi e soccombere e alla lunga l’ascolto si rivela addirittura stancante. Vi sono comunque maestose immissioni di Minimoog che stemperano un po' certe progressioni forse un po' troppo squadrate. Il risultato finale non è in fin dei conti tanto male ma non mi convince fino in fondo, soprattutto dopo aver sentito il gruppo dare il meglio di sé con un brano decisamente sopra la media, e mi riferisco ovviamente alla suite. “Age of Star” va leggermente meglio e si presenta con cori ammiccanti, proprio come nella traccia di apertura riprendendone addirittura il ritornello nelle sue fasi conclusive. Interessanti sono alcune connotazioni vagamente etniche ma tutto torna fondamentalmente nella dimensione più canonica della canzone in una formula piacevole ma senza fuochi d’artificio.
L'album si chiude così in un cerchio lungo un percorso che dura appena 43 minuti. A conti fatti non possiamo dire di avere fra le mani l'album perfetto che da anni in molti attendevamo ma un'opera di buona qualità con punte di livello che da sole potrebbero valerne l'acquisto. Nonostante tutto continuo ad apprezzare la sgargiante e genuina sinfonicità degli Izz, il loro appeal melodico, i loro arrangiamenti eclettici ma continuo a sperare nel big one!



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Jessica Attene

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