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J'ACCUSE Abbandono del tempo e delle forme Mellow Records 2008 ITA

E’ sempre bello veder crescere un gruppo e la sua evoluzione nel tempo. Era il 2005, quando ascoltai le prime tracce demo della band triestina e già allora mi aveva molto colpito la potenza e la freschezza che contraddistingueva il suo crossover musicale.
Tre anni dopo eccoli alla prima prova ufficiale. Aspettavo molto questa produzione musicale per due motivi. Il primo logicamente era per la musica proposta, ero curioso di vedere se l’evoluzione musicale del gruppo li avrebbe portati in territori lontani dal rock progressive come viene inteso canonicamente, anche perché le sirene indie potevano essere molto allettanti per un gruppo del genere. Il secondo era legato all’etichetta per la quale hanno inciso.
Difficilmente la Mellow Records propone lavori di questo genere e quando li produce non sono mai scontati (penso ai Fungus o ai Mary Newsletter) ed il fatto che questo cd era contraddistinto dal numero 500 del suo catalogo aumentava la curiosità.
Sappiamo che l’universo progressive è fatto di tante realtà, di tanti piccoli recinti dove l’appassionato si autorinchiude e dai quali difficilmente esce. Il recinto è una gabbia, ma paradossalmente anche una sicurezza. Sicurezza di ascoltare qualcosa che senz’altro mi piace, perché uguale ad altre centinaia di cose che ho già ascoltato. Sicurezza non fa però rima con evoluzione musicale, quindi l’altro paradosso è che se uno ascolta solo cloni (di qualsiasi sottogenere dai mostri sacri ipersinfonici al gruppo RIO più strano) si preclude da solo la possibilità di allargare i propri orizzonti sonori, cosa che per quanto mi riguarda è l’aspetto fondamentale del rock progressive.
Un disco come questo “Abbandono del tempo e delle forme” non è fatto per chi vuole sicurezze sonore. E’ un disco fatto per abbattere i recinti e per aumentare la curiosità che dovrebbe essere la molla che scatta in chi ascolta questo genere.
Difficile affermare che genere musicale fanno i J’Accuse. Ogni pezzo fa storia a se stante, con le sue influenze e i suoi percorsi sonori ma, nel complesso, stranamente risulta unitario. Le varie influenze si fondono magicamente per dare un risultato originale che non suona come nessun altro anche se ti ricorda mille gruppi.
“Abbandono del tempo e delle forme“ è, per come concepisco io questa musica, il disco ideale da proporre ad un ragazzo per farlo avvicinare al rock progressive oggi.
Troviamo infatti influenze musicali di gruppi che sono famosi nei giovani rocker come Tool e Mars Volta, troviamo echi prog anni 70 che a volte ti rimandano a Darwin del Banco del Mutuo Soccorso per dirne uno e ci troviamo soprattutto tanta new wave anni 80 italiana. Un disco come questo ti fa pensare a cosa sarebbe successo se gruppi tanto osannati come i CSI (più dei CCCP) avessero osato di più e fossero usciti anche loro dai recinti in cui sono stati ingabbiati dai fan.
Cinque brani più un’introduzione. Cinque quadri sonori che sanno di nuovo. Quel nuovo che però non profuma della canfora del vestito logoro che uno mette una volta l’anno. Ascoltandolo ti rendi conto che stai sentendo qualcosa di diverso dal solito. Ti rendi conto che quello che ascolti ti è familiare, perché le influenze sono quelle di sempre, ma non riesci a catalogarlo, non riesci ad inserirlo nei determinati schemi mentali che ti sei fatto nella mente (e tutti ce li facciamo).
Consideriamo per esempio un brano come “Il tempo muta le forme”. Una persona potrebbe pensare di trovarsi di fronte il solito gruppetto di ragazzini che copia i Mars Volta, ma andando oltre il primo minuto del brano ci si trova di fronte un mondo sonoro fatto di riferimenti al prog rock italiano anni 70, alla psichedelica, ad un certo tipo di new wave.
Stessa cosa succede per “Sul bordo dell’abisso”. Un brano che rispetto alla versione demo che conoscevo è totalmente diverso, cosa che ti fa notare immediatamente la maturità che ha raggiunto il gruppo nel corso di questo breve periodo. Rispetto al demo anche la parte cantata è notevolmente migliorata Un brano che farà contenti gli amanti dei Tool e che forse potrebbe avvicinarli ad ascoltare nuove sonorità. Pezzo che dal vivo dovrebbe essere veramente coinvolgente. “L’angelo” rappresenta in maniera perfetta l’unione tra progressive e rock italiano anni 80. Quello che non è mai riuscito ai progetti di Giovanni Lindo Ferretti riesce al gruppo triestino.
“Cercando un punto lontano” se fosse stata scritta dai Marlene Kuntz passerebbe su tutte le radio, alternative e non, di Italia. Sarebbe senz'altro cantata in coro dalla gente che va ai concertoni sindacali del primo maggio.
“Ricorre l’abbandono” è il brano più bello del disco, quello che lega insieme tutto quanto quello che era stato detto musicalmente nelle tracce precedenti. E’ il riassunto di quello che è proporre musica per i J’accuse. Da citare, non solo in questo brano, un grande Sasha Colautti alla chitarra oltre che alla voce.
I testi sono degni della musica. Appassionati, belli, fuori dei soliti luoghi comuni.
Un gruppo che, se supportato degnamente, potrà veramente dire tanto. Un esordio con i fiocchi che spero preannunci una carriera ricca di soddisfazioni per loro e per la musica che amiamo.
Uscite dai recinti e date una possibilità al gruppo triestino perché la merita.

 

Antonio Piacentini

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