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JELLYFICHE Tout ce que j'ai rêvé Unicorn Digital 2008 CAN

E' indubbio che la scena Prog canadese coincida pressoché perfettamente con quella francofona; le eccezioni sono numericamente trascurabili e raramente si rifanno a una tradizione Prog classica. Il trio denominatosi Jellyfiche non fa eccezione: siamo in possesso dell'ennesimo lavoro di Prog sinfonico dalle chiare matrici anni '70 proveniente da questa regione nordamericana e, dobbiamo dirlo, dell'ennesimo lavoro che è il caso di consigliare caldamente a chi ama questa musica. I Jellyfiche come detto sono un trio, costituito da Syd (voce e basso), Eric Plante (tastiere e sax) e Jean-François Arsenault (chitarra); a completare la formazione ci sono due ospiti: il batterista Mathieu Bergeron, che proviene da un gruppo thrash metal, ma che in quest'album non si produce certamente in un pestaggio incondizionato sulle pelli, e la flautista Vanessa Caron. L'album d'esordio del gruppo, giunto a quanto pare dopo diversi anni che il gruppo esiste e si è fatto apprezzare nella sua zona, consta di 9 tracce che, fin dalla title-track posta in apertura, si stabiliscono in un'area musicale decisamente stimolante. Quando siamo alle prese con un album cantato in francese il primo riferimento che viene sempre da fare è quello con gli Ange; sebbene non manchino alcuni parallelismi con lo storico gruppo dei fratelli Décamps, anche grazie al cantato talvolta molto enfatico (elemento questo che però è pressoché insito nel cantato dei francofoni), tuttavia non trovo granché centrato questo accostamento. Rimanendo in ambito Prog trovo molte più assonanze con Pink Floyd e Porcupine Tree e, talvolta, con certo post rock più melodico; tuttavia la proposta musicale dei Jellyfiche è troppo più orientata verso un Prog sinfonico dalle grandi atmosfere strumentali, ricco di melodia e di enfasi, per poter essere semplicemente classificata accanto ai nomi sopra riportati. C'è senza dubbio una grande importanza della chanson francese nella loro musica; forse, più che con gli Ange, il legame più forte con la Francia è da ricercare nei Mona Lisa, a dire il vero. Come abbiamo già detto, la traccia di apertura ci colpisce immediatamente, facendoci drizzare le orecchie, proponendoci una summa di tutto quanto sopra esposto, affascinandoci con l'enfasi di un cantato accalorato, assoli di chitarra e di sax ed atmosfere deliziosamente appassionate. Gli echi floydiani si fanno tangibili nel brano successivo ("Les arbres"), caratterizzato da un cantato che ci riporta decisamente a "Echoes" e una parte strumentale finale che sembra non finire mai. Una chitarra funky ci fa risvegliare sulla traccia successiva ("Caché au fond plus haut"), forse il brano più ruffiano dell'album e anche quello che personalmente meno preferisco. Il breve strumentale susseguente, quasi psichedelico, funge da intro per quella che possiamo definire la seconda parte dell'album, caratterizzata da "Dans le peau d'un autre", divisa in due episodi, e dal lungo brano finale (anch'esso introdotto da un breve brano, questa volta di natura circense) "Le cage de vautours liberté", di oltre 15 minuti. Insomma… si tratta di un album, lo avrete capito, che mi sento di consigliare senza remore, un altro capitolo della (speriamo) infinita storia del Prog Québecois.

 

Alberto Nucci

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