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JEAVESTONE Spices, species and poetry petrol Presence Records 2008 FIN

La prima cosa che viene da dire è che i Jeavestone siano un gruppo ruffiano, che abbiano individuato bene il filone giusto del momento giusto e che sostanzialmente sia tutto lì. Poi il disco lo riascolto, lo ascolto ancora e mi trovo a non levarlo dal lettore e farlo ripartire ancora e ancora. Ecco che il disco mi appare e si conforma nella mia testa con la sua reale potenzialità. La materializzazione sonora mi fa capire che in parte possa essere vero quanto detto nell’incipit, ma mi fa trovare molto, molto di più. Intanto questi finnici, alla seconda uscita, sono giovani e direi estremamente sinceri. Hanno superato la semplicità e l’ingenuità della prima incisione (Mind The Soup, 2005, interamente ascoltabile a questo indirizzo http://www.musex.fi/midem2006) con un disco articolato e solo apparentemente dalle trame semplici ed orecchiabili. Un po’ come fanno i vicini di casa Black Bonzo e Beardfish, i Jeavestone puntano su un prog in inglese dalle sonorità vintage e dalle costruzioni molto cangianti e dinamiche, unendo prog dei primi ’70 con pop, psichedelica, beat e jazz. Ed è proprio quest’ultimo, seppur dosato e non buttato ovunque a dare un tocco personale ad alcuni brani.
Ho detto di trame solo apparentemente semplici, perché ad un ascolto superficiale l’idea potrebbe essere quella, invece caratteristico è l’uso massiccio ma intelligente di sincopi, tempi dispari, break con cambi di tempo, alternati a parti di calma, semplicemente affidati a flauti, violini o chitarra acustica. Alcuni momenti portano ad un folk di stampo europeo generalizzato. Riferimenti forti che si possono riportare mi costringono a fare nomi quali Beatles, The Who, Frank Zappa, ma anche di Rush, dei connazionali Kingston Wall e, perché no, di Hackett in alcuni suoi temi elettrici e nella maniacale cura dei particolari.
E voglio capire chi e come, riesca a passare immune e non affascinato dall’assolo di sax soprano nel finale della minisuite “Innocence/Voices Of The Shadows/The Relief” o dalle trame hard rock/beat/prog di “The Plastic Landscaper”, un brano che supera di poco i tre minuti e offre un condensato di situazioni impressionante, o ancora dal coro con intermezzi canterburyani di “The Power of Swankle(tm)”, come dalle dolci e jazzate parti strumentali di “Your Turn to Run”, dominate dallo splendido flauto.
Altra particolarità divertente della band è che tra i nomi ci siano un bassista dal cognome Glorioso e la flautista, tastierista, cantante dal cognome Galactique! Nomi e garanzie di pari passo, per uno dei migliori usi del materiale beatleasiano (assieme agli XTC) e qui, ancora a dimostrazione, valga l’inizio della citata minisuite a metà tra Paul McCartney e una qualche Romanza italiana.
Ampie e molto presenti le parti vocali, con cantati di grande qualità, precisi e dai cori ben impastati. Da notare come il cantante, chitarrista, tastierista e compositore Jim Goldworth, citi la mancanza di ascolti prog nella propria vita ed esaltando quasi esclusivamente la sua formazione beatlesiana. Ottima ed equilibrata la sezione ritmica, che esprime tecnica e fantasia invidiabile senza mai ostentare. Sull’onda creata da questa uscita, sarà ristampato anche il primo disco, passato ai più inosservato. Credo di non sbagliare nel consigliare caldamente questo disco a tutti gli appassionati. Per avere un mano un prodotto che certamente darà soddisfazioni.

 

Roberto Vanali

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