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JULIAN JULIEN Strange A Bout De Son 2006 FRA

Certamente la varietà di proposta è uno dei punti cardine di questo disco, nel quale vengono miscelate le più disparate esperienze e le più diverse influenze dell’autore parigino Julian Julien. Nella girandola musicale troviamo elettronica, musica etnica, musica da camera, trance techno psichedelica, jazz, indo, raga, folk, noise e tanto altro. Il tutto ben raccolto in 11 canzoni e una ghost track, tutti della durata media di 3/4 minuti. Chi accompagna i sample, i programmi e le innumerevoli tastiere di Julien sono sette musicisti, presumo parigini, ma dai nomi esotici provenienti da mezzo mondo: i violinisti André Jarca e Koo Youn-Euu, il violoncellista Garik Heorhi Anishchanka, il sitarista Michel Guay, il chitarrista Djamel Laroussi, i percussionisti Karim Tourè e Apurpo Mukherjee. La presenza di suoni sintetici e dei sample elettronici è base frequente e quindi, inevitabilmente, la semplificazione delle figure ritmiche è un po’ dato scontato, con rimandi, talvolta, a certe esperienze tedesche di fine anni ’70. Ciò che viene fuori dalla strana miscela, deve aver ispirato anche l’autore per il titolo dell’opera “Strange”, appunto.
Sotto la guida di Julien i brani si susseguono rapidi, con il sapiente pianoforte che schematizza i movimenti melodici sui quali i violini corrono sapidi e ariosi. Decisamente ampio anche l’utilizzo delle percussioni etniche quali tabla, djembé, derbouka, che creano una sezione ritmica particolarmente intrigante, alternata a quella elettronica citata sopra, che porta il sapore dell’ascolto a temi indiani e orientaleggianti in genere.
In ogni brano c’è tanta ricchezza melodica e un’infinita ricerca di fusione di cose eminentemente diverse che accostate in maniera intelligente sanno generare cose nuove e dal buon sapore, esempio ne è “Cosmos” con il suo ipnotico movimento pianistico che ospita via, via, percussioni che arrivano da lontano, violini che si rincorrono e sfuggono, per tornare più forti e presenti e ancora suoni della natura, noise fabbricati con ingegno, un po’ di elettronica e landscape vari. Da citare senz’altro il folle valzer d’avanguardia di “Cirque”, esplosivo nel suo mischiare temi e situazioni, o lo scherzo cameristico/elettronico di “Charlotte”. Poche cose del passato possono essere prese ad esempio per paragonare questo lavoro. Qualcosa riporta ai Gong di Pierre Moerlen, specie per il lavoro “Leave it open”, che vagamente ritroviamo in brani tipo “Planète” e “Sophie” ma la personalità che traspare è tanta e decisa. La cosa particolare e interessante è che nonostante una certa semplicità tematica, dominata da una chiarezza notevole, i brani si fanno ascoltare decine di volte e si lasciano scoprire, per i loro piccoli particolari, un po’ alla volta, fino all’ultima traccia tesa, drammatica, visiva, fortemente cinematografica, la citata ghost track, che non ha neppure un titolo.
Una bella scoperta, una bella esperienza di ascolto che miscela vecchio e nuovo in un probabile punto fermo per un qualcosa di indicativo per la musica di futuro.



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Roberto Vanali

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