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JUNKFOOD Transience Trovarobato Parade 2011 ITA

Quando il jazz ed il rock si incontrano e gli strumenti a fiato assumono ruoli da protagonisti è inevitabile rievocare i fasti di un’era in cui Miles Davis, Weather Report e Nucleus sperimentavano l’unione di stili che fino a poco tempo prima sembravano incompatibili. Il quartetto bolognese denominato Junkfood, attivo dal 2007 e formato da Paolo Raineri (tromba, flicorno, effetti), Michelangelo Vanni (chitarra elettrica, effetti), Simone Calderoni (basso elettrico, effetti) e Simone Cavina (batteria, effetti), giunge al debutto discografico mettendo come basi della propria proposta musicale proprio gli insegnamenti di quel magico periodo. Ma si tratta, appunto, solo di basi, sulle quali costruire architetture sonore particolarissime e non ancorate fortemente al passato. Gli impasti elettroacustici, già evidenti con gli incroci di fiati e chitarra, diventano ancora più gustosi con gli effetti elettronici mai invadenti che costantemente abbelliscono le composizioni. Il risultato finale è un affascinante affresco che vede influenze storiche trasformarsi e divenire arte moderna, con il jazz che sta alla base pronto a incrociare la sua strada con il post-rock, con il progressive e con l’avanguardia. In dieci brani i Junkfood brillano di inventiva e sono capaci di far venire fuori tutta la loro fantasia in questo processo di contaminazione che vede generi diversi venire a contatto e instradarsi verso un sound che sa essere comunque solido e coeso. L’incipit “Exodus” si apre con i fiati a guidare una marcia lenta e cupa, che pian piano si vivacizza con i ritmi che si fanno costantemente più veloci, fino a diventare asfissianti nel finale. Nei seguenti brani il discorso sonoro diventa spesso più irruento: già la seconda traccia “Aging hippie liberal douche” mostra frenesie crimsoniane, avvertibili anche in altri episodi. Ogni tanto si tira il fiato, grazie a brani e sezioni in cui ritorna una certa pacatezza e si possono respirare morbide melodie con in sottofondo un’atmosfera rilassata. Ma i momenti più appaganti sono sicuramente quelli che si avvertono quando la tromba davisiana mette a nuovo l’energia iconoclasta di “Bitches brew” e “Get up with it” (esemplari i sei minuti e mezzo di “Hikikomori”), proponendo un linguaggio sonoro universale, indefinibile e credibile. “Transience” è un album di gran classe, contenente tre quarti d’ora strumentali assolutamente affascinanti, difficili se non impossibili da etichettare, per merito della bravura di musicisti che oltre un notevole talento mostrano la capacità rara di far vedere un futuro luminoso per il jazz-rock.


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Peppe Di Spirito

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