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JELLYFICHE Symbiose Unicorn Digital 2011 CAN

Inutile negarlo: il secondo album dei canadesi Jellyfiche era, per chi scrive, l’uscita musicale più attesa del 2011. Più del ritorno degli Yes, più del primo album delle Orme senza Tagliapietra, più del nuovo Glass Hammer. Questo perché “Tout ce que j'ai rêvé” del 2008 si era rivelato un debut-album davvero suggestivo, sia nelle liriche (in francese), sia nelle lunghe ed articolate sezioni strumentali.
Al primo ascolto (soprattutto se superficiale) “Symbiose”, questo il titolo del nuovo lavoro, è spiazzante, soprattutto perché alcuni brani appaiono più diretti e sferzanti di “Tout ce...”, altri sono contaminati da ritmi etnici atipici per il gruppo. Insomma i dubbi sulla bontà del tanto atteso lavoro cominciavano a serpeggiare... Che fine avevano fatto i Jellyfiche che conoscevo?
Poi gli ascolti si succedono, il livello di attenzione cresce e le prime impressioni inevitabilmente si modificano.
“Symbiose” è un concept album sull'amore che trascende lo spazio ed il tempo. Un opera ricca di sfumature sonore favorite indubbiamente dalla presenza di numerosi ospiti e delle loro strumentazioni che accompagnano Syd (voce e basso) e Jean-François Arsenault (chitarre): ecco quindi il sax, il violoncello, la tromba che completano e migliorano le trame create dalla chitarra e dalle tastiere. Sonorità diverse che si avvicendano nel corso del lavoro e che creano uno sfondo senz'altro originale, se non unico.
Un album che è consigliabile ascoltare dall'inizio alla fine ed interpretarlo come fosse composto da un unico lunghissimo brano, anziché dai 10 effettivamente presenti, anche se qualcuna di queste composizioni può benissimo risplendere di luce propria senza la presenza delle altre a fare da traino.
E' il caso dell'opener “Le vide” che, seppure in soli 4 minuti, ripercorre, sintetizzandole le sonorità di “Tout ce...”.
Il breve intermezzo acustico di “Expansion”, ci conduce a “Genèse” dove affiorano le prime novità:
il suono è decisamente più duro, ai limiti dell'hard rock, con riff secchi di chitarra elettrica ed una sezione ritmica sostenuta che accoglie magicamente la voce di Syd a ricordarci che sempre del gruppo canadese si tratta.
Segue la struggente ballata “Ève”, fra i pezzi migliori della raccolta. Forse per cuori teneri, ma davvero bellissima. “Trahison”, altro rock incalzante, precede un altro brano particolare: “Au non d'apo calypso”. Musicalità afro e ritmi tribali, un testo inquietante, ritornelli ossessivi, un suono “sporco” e “malato” eppure affascinante (trascorsi i primi momenti di doverosa sorpresa...).
Più tradizionale (e vorremmo ben vedere !) “Les amants et la guerre” che, pur mantenendo l'approccio più rock tipico dell'album, lascia spazio a qualche bell'intervento delle tastiere di Sébastien Cloutier.
Ancora hard rock anni '70 per l'introduzione di “Le merchand d'hommes”, che lentamente scivola verso atmosfere jazz-rock per poi declinare verso un finale piuttosto vivace.
“Dualité” si muove in ambito floydiano non distante da un “Meddle” o da un “Atom heart mother”.
Aggressivo soprattutto nel refrain l’ultimo brano, “L’autre monde”, anche se anche qui non mancano le chitarre acustiche ed i momenti più lirici e sfumati.
Un album, questo “Symbiose”, nel complesso sorprendente, a tratti spigoloso, che necessita di più ascolti per scrollarsi di dosso qualche pregiudizio derivante dalla (apparente a volte) lontananza musicale con il primo lavoro della band, ma che saprà poi conquistarvi tanto che probabilmente entrerà a far parte dei vostri “best of” del 2011.



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Valentino Butti

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