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JAN DUKES DE GREY Sorcerers/Mice and rats in the loft Decca Nova/Transatlantic 1970/1971 (Cherry Tree 2009) UK

Non v’è ai giorni nostri spiritello o folletto che non sia stato stanato ad opera di cultori e collezionisti dal folto sottobosco del Prog Folk britannico ed ora è la volta di questa allucinata e sotterranea band dello Yorkshire che colpirà sicuramente quanti di voi siano caduti di fronte al fascino pagano dei connazionali Comus. Il loro operato è racchiuso in due vinili di folk acido e fumoso (entrambi ristampati in questa edizione), dal sound graffiante ed essenzialmente acustico, non facilissimi da reperire, anche se Derek Noy (chitarra e voce) e Mick Bairstow (flauto, seconda voce e bongos) un po’ di seguito se lo erano conquistato, allorché erano soliti frequentare, fra la fine dei Sessanta e gli inizi dei Settanta, i folk club di Londra e dintorni, armati del loro equipaggiamento essenziale di flauti e chitarre e con le loro canzonacce acustiche al fulmicotone, accaparrandosi l’attenzione e le simpatie degli avventori di turno.
Grazie alle conoscenze del loro manager, Danny Pollock dell’agenzia Zenith, il duo riuscì a firmare un contratto per la Decca Nova, una sottoetichetta della Decca nata in quel periodo, dedicata alla musica underground. Il debutto, “Sorcerers”, fu registrato nel 1968 negli studi della Decca in appena tre giorni, più un giorno aggiuntivo per il lavoro di post-produzione. Si dice che il duo avesse fatto montare una piccola tenda da meditazione nello studio e che volle suonare per forza lì dentro, cosa che non cambiò molto la qualità dell’incisione ma che li rese oltremodo felici. Questa gioia infantile si può quasi toccare fra le note delle brevi canzoni Hippie-Folk dell’album, ben diciotto per 49 minuti di musica. Si tratta di tanti flash allucinati, dominati dalla voce cantautoriale di Derek, sostenuta essenzialmente dalla chitarra acustica e dal flauto, arricchita all’occorrenza dalle veloci pennellate di altri strumenti fra cui il clarinetto, il sax tenore, la tromba, il piano e poi varie percussioni con bongos, tabla e conga. L’approccio è graffiante, minimalista, sguaiato e racchiude tutto il fascino di fumose notti hippie passate a danzare attorno ad un fuoco dove bruciano strane essenze psichedeliche. I testi si basano essenzialmente su esperienze recenti che Derek trasponeva rapidamente in musica e versi. Questa semplicità e questa immediatezza traspaiono anche dalla musica che sembra quasi buttata lì con noncuranza ma che acquista allo stesso tempo un feeling davvero magnetico. Gli arrangiamenti sono essenziali ma l’aggiunta degli altri strumenti dona una vaga punta di ricercatezza e dei colori a tinte progressive.
Furono spese molte energie per la promozione: la band aprì i concerti dei Nice e dei Pink Floyd, conquistandosi qualche segnalazione sulla stampa, e fece molte altre apparizioni dal vivo. Purtroppo però la succursale della Decca cessò la sua attività e la casa madre non si mostrò interessata a riassorbire gli artisti, le cui vendite non raggiungevano il traguardo delle 20.000 copie.
Nel 1971 arrivò il contratto con la Transatlantic e la band sfoderò un album bizzarro ed intenso che dimostrava la loro splendida metamorfosi: il brillante “Mice and Rats in The Loft”. Questa volta i pezzi sono solo tre, con la bellissima “Sun Symphonica” che domina il lato A. L’arrivo del batterista Dennis Conlon dona più corpo ed energia ad un sound che è divenuto più ricco e meglio definito. I cori stralunati di Derek sono ora irrobustiti da lunghe fughe strumentali, fatte di chitarre acustiche torturate e colorate dalla tromba, dal trombone e dal clarinetto che si sbilanciano in assoli convincenti in un’estasi crescente. L’irrequieta base acustica delle chitarre e le tinte fosche ricordano molto i Comus mentre gli altri strumenti rilasciano al momento opportuno la tensione accumulata con le loro esili aperture sinfoniche ed i loro intarsi orchestrali. L’opera è un mosaico fatto da tessere grezze incastrate fra loro in modo bizzarro, una commistione di folk acido, psichedelia, hard blues e prog sinfonico sbattuta da sbalzi d’umore continui e repentini e dilatata da improvvisi momenti di estasi. “Call of the Wild”, la traccia più lunga del lato B, ha un’architettura più lineare e una dimensione più pastorale, con voci che si rincorrono su una base ritmica più scarna e la solita instancabile chitarra acustica a reggere il tutto. Molto più acida ed estrema la conclusiva traccia, la title track, che si apre con una sirena stridula e fastidiosa e che evolve in qualcosa di molto affine all’universo sballato dei Gong.
L’album ricevette alcune recensioni positive ma non vi fu troppo impegno da parte dell’etichetta, che pure aveva investito molto denaro per la registrazione, per la promozione, così che le vendite furono scarsissime. Da lì allo scioglimento il passo fu breve. Patrick Dean arrivò a rimpiazzare Mick Bairstow ed il gruppo cambiò il suo nome in Noy’s Band riuscendo a realizzare soltanto un singolo, incluso come bonus track in questa ristampa e come potrete voi stessi ascoltare il risultato appare piuttosto trascurabile rispetto al genio sregolato e multicolore del gruppo madre. La carriera più brillante la ebbe Dennis Conlon ma come attore cinematografico e teatrale e non come musicista. A noi non rimane che questa bellissima ristampa, impreziosita da un corposo booklet pieno di notizie, per poter riscoprire questa perla semi-dimenticata del sottobosco inglese, sempre ricco e sempre pieno di eccitanti sorprese.


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Jessica Attene

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