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JACK DUPON Jésus l’aventurier Musea / TMG 2013 FRA

Sinceramente non mi sentirei tanto tranquilla se dovessi intervistare Jack, chissà cosa risponderebbe? Parlerebbe in rima baciata accostando versi, assonanze, mugolii e cose senza senso? Già perché questa volta Jack si è messo in testa di essere persino un cantastorie ma nessuno credo sarà mai in grado di capire effettivamente cosa gli passi per la testa. Ecco infatti che questo quarto album in studio porta lo strano titolo di “Gesù l’avventuriero” e sfoggia in copertina un pescatore che parrebbe uscito da un quadro di Magritte. Ma a parte questa associazione fra pesca e vangelo, di Gesù non c’è neanche l’ombra nell’album che è invece un’accozzaglia di varie storie narrate in modo strampalato. Ogni canzone è un quadro cubista fatto di ritmi geometrici, parole assonanti e strutture disarticolate che si ispira, almeno nelle intenzioni, a personaggi totalmente slegati fra loro come Mata Hari, Butch Cassidy, Rasputin… o la cagnetta Laika.
La schizofrenia di Jack sembra qui aver superato i limiti già estremi che già conoscevamo e si muove su strade convulse, asimmetriche e totalmente imprevedibili. Queste ampie asimmetrie si deducono anche dalla durata dei pezzi che rimbalzano con disinvoltura dai trentanove secondi, quelli dedicati a “Laika”, ai sedici minuti abbondanti di “Modestine”, l’asina che traghettò lo scrittore Robert Louis Stevenson attraverso le Cévennes. Così la musica risulta criptica e indecifrabile o ossessiva, martellante ma pur sempre incredibilmente aggrovigliata, fra spasmi, singhiozzi, fughe e brusche inversioni. Il sound è come al solito robusto ma estremamente flessibile, grazie a una base ritmica praticamente snodata, garantita dalla batteria di Thomas Larsen e al basso di Arnaud M'Doihoma ma anche alle due chitarre di Gregory Pozzoli e di Philippe Prebet che dialogano continuamente, come due allegre comari che non si zittiscono un secondo. L’altro aspetto fondamentale, come ormai già sappiamo, è quello vocale: Jack non sarebbe sé stesso senza la sua voce che usa per urlare, rimbrottare, borbottare, lamentarsi, prendere in giro l’ascoltatore incuriosendolo o atterrendolo se gli pare, giocando con i suoni e le rime e dimenticandosi di narrarci qualcosa di senso vagamente compiuto, preferendo di gran lunga l’aspetto teatrale e grottesco, il grammelot, le sfuriate.
Difficile non citare Zappa in questo contesto ma anche Captain Beefheart, o persino i Gong, anche se qui c’è ben altro oltre alle teiere volanti! Per tornare in Francia potrei scomodare anche gli Etron Fou Leloublan e i Mahjun per i loro folleggiamenti, anche se ogni tanto, come una pallina da flipper che rimbalza ritmicamente contro bersagli a molla, i ritmi trovano i loro incastri quasi di stampo math rock imbrigliandosi in cortocircuiti stranamente regolari. In fondo sono convinta che non sia necessario farsi troppe domande o ingaggiare uno strizzacervelli per trovare un senso a tutto questo, al massimo la carta della psicanalisi giocatevela per voi stessi al termine dell’ascolto se vi sentirete un po’ storditi e confusi perché Jack proprio non ne ha bisogno e forse finirebbe con lo strozzarlo, un tipo del genere. Entrate in questo groviglio senza troppe domande e fidatevi soltanto delle sensazioni non lasciandovi ingannare dal dadaismo di questo essere che, sono sicura, vi fa divertire ma vi prende anche in giro con un album che è decisamente sopra le righe, sfacciato, sfrontato ma ancora una volta divertente ed esilarante e che non replica i precedenti lavori, pur ponendosi in continuità, o meglio in relazione, visto che qui di consequenziale non c’è proprio niente, con essi. PS se l’ultimo periodo vi sembra troppo attorcigliato vi renderete conto che anche io ho preso una strada senza uscita… e ogni tanto è bello anche togliere il disco dal lettore ammettendo che non ci abbiamo capito niente, felici di questo, dopotutto…



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Jessica Attene

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