Home
 
JONO Requiem Musicano 2013 SVE

Il nome di questa band svedese al debutto non è altro che una contrazione del nome del suo leader Johan Norrby, compositore, vocalist e tastierista di un progetto inquadrato da lui stesso nel filone pop-rock sinfonico. Nel realizzare le sue ambizioni musicali, Johan si è circondato di quattro collaboratori, tra cui Stefan Helleblad, chitarrista nel gruppo prog-metal olandese Within Temptation, con cui può vantare una collaborazione anche il batterista Nicka Hellenberg.
Se si tiene conto delle influenze citate nella presentazione stampa, si rischia di affrontare il primo ascolto con qualche perplessità, dato che un nuovo ibrido tra Queen, Saga e Supertramp potrebbe suscitare timori di anacronismo, pomposità o peggio easy-listening, per non parlare della menzione dei Muse, che dei primi possono essere considerati ormai una specie di caricatura.
Meglio quindi mettere il dischetto nel lettore e lasciarsi immediatamente travolgere dal trascinante riff di “I was the one”, un brano costruito su strofe incalzanti ed un refrain – con tanto di interpretazione in falsetto da parte di Norrby – così contagioso da lasciare verde d'invidia sia Matthew Bellamy che qualsiasi altro emulo mercuriano (a proposito, un mio amico, ascoltandoli, ha fatto il nome di Mika); un riflessivo intermezzo per togliere ogni dubbio sulla corretta applicazione della ricetta Queen, e si finisce con la ripresa del tema, tutto in quattro minuti scarsi di perfezione pop-rock, appunto.
A proposito di pop, la successiva “Judgement day” si spinge un po' più in questa direzione, potrebbe essere il potenziale singolo, ma non il brano migliore, sostenuto comunque da un'interpretazione che riporta ai Landmarq del periodo Damien Wilson; sbilanciata verso l'orecchiabilità anche quella “Nothing” in cui ecco che percepiamo un profumo di Supertramp, ma anche “Best thing”, in cui il paragone con i Queen è stavolta da intendersi con i tormentoni da stadio tratti da “The Works”.
Più interessanti le romantiche ballate pianistiche “Letting go” e “Symphony”, e in cui mancano solo i cori per poterle credere due outtakes da “A Day at the Races”; mentre la title-track si rivela un'altra ballata, ma stavolta pomposa e orchestrale, con l'organo a conferirle maestosità, una chitarra melodica e una sezione corale cadenzata e marziale che riecheggia fin troppo quella “Survival” che i Muse composero per l'inaugurazione delle Olimpiadi di Londra.
L'album si chiude ancora su coordinate intimistiche, e arrivati al termine è ormai perfettamente riconoscibile all'ascoltatore lo Jono-sound che – per inciso – non ha nulla delle influenze metal che potrebbero essere dedotte dal pedigree dei componenti: al contrario, è proprio una certa mancanza di brani hard che li distingue da molti dei loro numi ispiratori.
A me l'album è piaciuto davvero molto, pur riconoscendo la sua leggerezza, è innegabile che la cura dei dettagli, dei suoni, degli arrangiamenti ne facciano un prodotto fruibile ma scritto con passione e assemblato con maestria. Gli Jono sono un gruppo prog? Difficile rispondere... di sicuro possono essere apprezzati da chi ama questo genere.



Bookmark and Share

 

Mauro Ranchicchio

Italian
English