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JUKE Chimera's tale autoprod. 2014 FRA

Il quartetto francese approda nel 2014 al suo primo full-length album, dopo aver di fatto esordito nel 2012 con l’EP “Atom experiment” composto da quattro brani (ma dalla lunghezza complessiva di oltre quaranta minuti). Nati nel 2011, i quattro si sono dedicati ad un vero e proprio psychedelic/space rock dalle chiare radici settantiane. Già il titolo dell’EP faceva a suo tempo pensare ai vecchi Pink Floyd, quelli che guardavano alla sperimentazione, con una vena però più rockeggiante, che si rifaceva alle soluzioni maggiormente “visionarie” di realtà americane come i Doors. Con l’album del 2014 quest’ultimo aspetto sembra un po’ accantonato, continuando comunque a guardare allo spazio floydiano che stavolta tende a specchiarsi nei fondali impercettibili degli abissi più profondi. Una discesa nelle profondità “terracqueo-cosmiche” (si voglia perdonare il neologismo in evidente contrasto con se stesso!) guidata sempre dalla chitarra di Kévin Toussaint, che spesso ricorda il periodo con cui si sancì quel famoso passaggio di consegne – e di stile – tra Syd Barret e David Gilmour.
Non si parla di nulla che già non si sia abbondantemente sentito in passato, anche in quello più recente, ma per fortuna i nostri amano suonare, prova ne è l’intermezzo strumentale di quella sorta di ballata psichedelica (aperta molto bene col pianoforte da Quentin Rousseau) che è “On the Edge”, in cui, come già detto, si scende oltre il baratro dei luoghi sommersi conosciuti. In generale, la parte iniziale dell’album risulta la più ispirata. “Schizarium Odissey (part 1)” può a tratti far venire in mente i norvegesi Arabs in Aspic più psichedelici e riflessivi, soprattutto quelli di “Pictures in a dream” (2013), mentre i seguenti ventuno minuti abbondanti di “Neptuna” iniziano bene ma risultano appesantiti da un intermezzo in cui si resta “sospesi” troppo a lungo; sicuramente funzionale a determinate idee, ma un minutaggio minore avrebbe fatto solo bene. Per il resto, soluzioni che ricordano gli olandesi 35007 di “Liquid” (2002) – a suo tempo presentato come una specie di colonna sonora – ed anche le parti chitarristiche più riuscite di un gran pezzo come “Keep Breathing” degli Psychomuzak, soprattutto nell’ultima parte. A pensarci su, dopo aver dato un ascolto al brano in questione, la band di Dean Carter sembra proprio il riferimento maggiore a cui i francesi di Tours sembrano star guardando per il futuro.
Ci sono i quindici minuti e mezzo inquietanti di “Mr. Mend”, formati più che altro da suoni che fanno a botte tra loro e voci effettate minacciose, a cui segue un breve pezzo, interlocutorio fin dal titolo: “?”. “Sunset Smile” è aperto con la chitarra acustica, rifacendosi ancora a Waters e soci, concludendo poi con “Schizarium Odissey (part 2)”, che sembra riportare la mente a certe fasi più astratte dell’album “Wish you were here”, con delle azzeccate parti di basso ad opera di Théo Ladouce, per poi lasciare il passo ad un incedere più duro scandito dalla batteria di Lancelot Carré. Ancora una volta bel lavoro alla chitarra e pianoforte, con intense parti vocali nella parte finale.
Vanno sentiti questi Juke. Ad un primo ascolto, magari, non diranno granché. Dopo, invece, si potrebbe appurare che gli schemi già abbondantemente consolidati da altri qui risultano suonati con professionalità e dedizione. Lo si ribadisce, gli amanti del genere farebbero bene ad ascoltarli. È un buon punto di partenza per i transalpini. Si spera non si fossilizzino e che si sappiano evolvere ulteriormente, regalando così qualcosa di davvero interessante.



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Michele Merenda

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