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JESETER Siddhartha Musea Records 2016 CZE

Come già anticipato, il nuovo lavoro dei cechi Jeseter (parola che in ceco significa storione ma che immagino sia stato scelto anche per la somiglianza con jester) è un concept album basato sull’omonimo romanzo di Hermann Hesse, autentica pietra miliare della letteratura del novecento. La band si presenta quindi a questa impegnativa prova del suo terzo album in formazione immutata rispetto a “Proměna” e con ormai un buon bagaglio di esperienza ed affiatamento. Oltre a loro, l’album gode della presenza di numerosi ospiti che contribuiscono ad arricchire i suoni ed a creare un’ampia gamma di variazioni musicali: voci femminili, trombe e tromboni, mandolini e violini, sax, contrabbasso…
La realizzazione di “Siddhartha”, per la maggior parte frutto della mente creativa di Ján Gajdica, dal punto di vista musicale è stata ispirata, secondo le dichiarazioni del gruppo stesso, dai lavori di Andrew L. Webber, ponendo una maggior enfasi sulle liriche (sempre in lingua madre) rispetto al passato, e minori acrobazie Prog (vedi la suite di 20 minuti dell’album precedente) in favore di una musica di maggior impatto anche se ricche di suoni e sonorità, con brani più brevi legati l’un l’altro. Non che si possa affermare che quest’album sia meno Prog, ovviamente, ma sicuramente sono stati usati meno cliché tipici del genere. La band tuttavia conserva un feeling che la avvicina a Yes, Gentle Giant, Marillion e, ovviamente, Modry Efekt (è già stata ampiamente rilevata la somiglianza vocale del cantante David Tobiasz con Lešek Semelka). Le liriche, come detto, sono in ceco ed il booklet non aiuta granché coloro che siano nati lontano da Ostrava, presentando per ogni canzone nient’altro che un breve riassunto di quanto vi viene narrato.
Dopo il breve intro di “Óm”, l’album parte con l’accattivante e ritmata “Má duše je celý svět” (“My Soul Is The Whole World”), con movenze un po’ funk e decisamente reminiscente proprio dei Modry Efekt. Sulle ultime note di questo brano parte poi “Ničemu nelze se naučit” (“No One Can Learn a Thing”), più rilassata e floydiana, con ampie atmosfere create dalle tastiere. “Ničemu nelze se naučit” (“One Step Behind You”) ha una divertente ritmica in controtempo e un cantato che si fa più teatrale. La breve “Znamení procitnutí“ (“The Sign of Awakening“), con bel sottofondo di tromba e contrabbasso, ci introduce “V erbu čerstvě rozlomeného fíku” (“In The Crest of a Newly Opened Fig”), un bel pezzo rock cantato dalla bella e graffiante voce di Pavla Míčková.
Chi ha letto il libro di Hesse sa che il periodo che viene denominato Samsara il nostro Siddhartha si getta a capofitto nei rumori e nelle attività del mondo che lo circonda, lasciando da parte le attività di ricerca interiore e meditazione. Nessuna sorpresa quindi che il brano relativo a questa situazione, “U dětských lidí / Samsára” (“With The Child-People / Samsara”), sia brillante e spumeggiante, pieno di fuochi d’artificio strumentali, con impasti sonori jazzati, con fiati e un cantato quasi grottesco. Verso la metà del brano i toni mutano decisamente; il cantato si fa più romantico ed elegiaco e la melodia prende il sopravvento, con un bel finale strumentale.
“Ve víno vodu, ve vodu víno” (“Water into Wine, Wine into Water”) è dolce, malinconica e riflessiva. “Umění ticha” (“Art of Silence”) prende le mosse da queste tonalità per poi sfociare in un pezzo decisamente blues. “Ptá se Já řeky” (“Asking the River”) è invece ritmata e orecchiabile, con belle armonie alla Yes, con un finale caratterizzato da un cantato quasi mistico ed evocativo che si aggancia a “Vidět život, živoucí” (“To See a Living Life”) che rappresenta in un certo senso il gran finale dell’album; il cantato torna su tonalità alla Semelka e fanno la loro comparsa tutti gli strumenti apparsi in precedenza, anche se la canzone non raggiunge livelli particolarmente elevati. C’è ancora tempo per la brevissima chiusura di “Óm II” che termina, per l’appunto, con un lungo “om”…
“Siddhartha“ è un album un po’ altalenante; la sua struttura a metà strada tra l’opera rock e un ordinario concept album lo rende un po’ un ibrido che comunque ha molti bei momenti ed è in ogni caso gradevole nel complesso. Non vengono raggiunte vette particolarmente elevate, sia dal punto di vista qualitativo che in quanto a piacere puramente epidermico della musica. E’ sicuramente apprezzabile il tentativo del gruppo di voler affrontare una struttura musicale particolare ed una tematica abbastanza complessa; non si può certo parlare di fallimento, dato che l’album merita sicuramente la segnalazione.



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Alberto Nucci

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