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KAMPEC DOLORES Earth mother sky father Poseidon Records 2005 UNG

Band ungherese attiva da un bel po' di anni, nonostante una discografia abbastanza contenuta, e che può essere avvicinata al progressive per il processo di contaminazione musicale che propone. Questo quintetto dal nome strano, derivante da una parola Yiddish ed una latina (e che vuol significare "la fine della sofferenza", riferita al triste evento di una morte), infatti, si propone attraverso un mix di sonorità abbastanza affascinante, ma, in realtà, anche un po' dispersivo. Da oltre vent'anni i Kampec Dolores si cimentano in tutto ciò, puntando, spesso, anche su un tipo di comunicazione, oltre che musicale, basato su una lingua inventata. Le nove canzoni contenute in "Earth mother sky father", nuovo parto di questa particolare formazione, offrono spunti notevoli, per merito di arrangiamenti ben curati, una certa raffinatezza di fondo ed una certa personalità dettata dal connubio di generi diversi, ad alimentare una sorta di world music d'avanguardia nella quale vanno ad incrociarsi rock, folk mitteleuropeo, jazz e prog. Bisogna anche ammettere, tuttavia, che non sempre una simile unione produce risultati di rilievo: tranne in rari casi e nonostante certe melodie bizzarre, le composizioni del gruppo si mantengono un po' troppo prevedibili e alla lunga si avverte qualche momento di stanca. Non bastano i timbri elettroacustici eleganti, tra una sferzata del sax ed un arpeggio di chitarra rock, o la spinta propulsiva dell'eterea voce di Gabi Kenderesi a risollevare le sorti del lavoro quando un po' di noia rischia di prendere il sopravvento. L'ascolto di questo album, alla fin fine, produce effetti contrastanti: presi uno per uno, i brani non sono affatto male e si lasciano ascoltare anche con molto piacere, soprattutto all'inizio; il rovescio della medaglia, come accennato, è dato da quel senso di imperturbabilità che man mano che l'ascolto prosegue tende a prevalere. Quando l'originalità non basta.

 

Peppe di Spirito

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