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KARFAGEN Continium Unicorn Digital 2006 UKR

Graziosa sorpresa da una terra che sembra stia scoprendo proprio ora il gusto di suonare progressive rock: a parte i Biocord, che nel 1995 pubblicarono l'album "High Skies", in effetti non sembrano esserci grossi precedenti in questo campo. I Karfagen iniziano la loro storia proprio in quegli anni, periodo in cui il tastierista Antony Kalugin, allora studente universitario, decide di mettere su un gruppo prog ed inizia, nel 1998, a registrare l'album di debutto. Nel 2002 Antony riesce a realizzare un album solista, "The Water" e collabora, più recentemente, in più di 40 album di artisti russi e ucraini, garantendosi un po' di liquidità per affrontare le spese di registrazione di questo nuovo CD. Il resto è storia recente e non è un caso che l'etichetta canadese abbia mostrato il suo interesse verso questo lavoro. Si tratta di un'opera che colpisce in prima istanza proprio per la scelta dei suoni, brillanti ed avvolgenti, elaborati grazie all'opera di ben due tastieristi: Oleg Polyanskiy ed il già citato Antony. Si tratta sostanzialmente di prog sinfonico strumentale suonato con una tavolozza sonora non convenzionale per questo genere. La sintesi di nuove emozioni sonore, che potrebbe appartenere più propriamente allo spirito di un certo tipo di musica elettronica, viene sfruttata per creare arie melodiche soffici e sognanti, quasi Cameliane. Si possono inoltre percepire vaghi riferimenti agli Happy The Man più atmosferici ma soprattutto agli Enid. La sensazione di ascolto è piacevole e rilasciata, come potrebbe accadere per certe composizioni new age, e l'utilizzo di strumenti come la lira ucraina (uno strumento molto amato dai Pesniary che somiglia vagamente alle nostre tradizionali ghironde) offre un tocco particolare e poetico ad una musica che vuole essere moderna e smagliante ma sempre elegante e raffinata: graziosa è in questo senso la seconda traccia "A Winter Tale (part 2)" che si apre proprio con il suono della lira. La formazione vera e propria è completata da Kostya Shepelenko alla batteria e da Sergei Kovalev al bayan, una fisarmonica tipica della Russia (bellissime parti di bayan si possono ascoltare ad esempio in "Silent Anger" un crocevia fra echi lontani della tradizione e suoni futuristici). Interviene poi una serie di ospiti a completare l'organico facendosi carico delle parti di basso, di chitarra elettrica ed acustica e flauto. L'ultima traccia presenta una deliziosa performance canora di Marso, una fanciulla dalla voce eterea. L'album è un susseguirsi di visioni idilliache, tratteggiate dal flauto e dal pianoforte, con sequenze brillanti di tastiere, grandi protagoniste come accennato, ma anche belle parti di chitarra. L'unico strumento forse più penalizzato è la batteria che offre una trama ritmica di sostegno forse a volte un po' monotona. Per il resto è quasi come fluttuare in un sogno fatto di affascinanti visioni surreali.

 

Jessica Attene

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