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DAISUKE KUNITA Fuzzy logic Musea / InterMusic 2007 JAP

Ecco un nuovo giovane talento dal Sol Levante: il chitarrista Daisuke Kunita dopo aver studiato e conseguito il diploma al celebre Berklee College di Boston è tornato in patria nel 2005 e, messo su un gruppo comprendente il bassista Jiro Okada e il batterista Eiji Tanaka (con in più il supporto del tastierista Kan Sano e del sassofonista Eiji Otogawa), ha registrato questo disco che ce lo fa conoscere. Numerosi sono gli eroi musicali che Kunita cita tra le sue influenze e numerosi sono gli stili ad essi accomunabili. Qualche nome? Presto detto: King Crimson, Scott Henderson, Allan Holdsworth, Jimi Hendrix, John Coltrane, Steve Vai, Mike Patton, Chick Corea, Herbie Hancock, tanto per gradire… Inevitabile che in questo suo esordio, elementi di questi artisti vengano costantemente a galla. Si parte con l’ascolto e dopo la breve “Intro” atmosferica, si entra nel vivo dell’album con “Fragments”, che ci fa capire subito le doti di Kunita: note di chitarra elettrica che viaggiano veloci, ritmi spediti, tecnica sopraffina, compagni di avventura all’altezza ed un ombra ben precisa che lo segue in oltre sette minuti e mezzo, quella di Jimi Hendrix. Da un rock vibrante ed abrasivo si passa poi ad una fusion tecnologica (“On again, off again”, “Sharp”), ad una via di elegante jazz (i nove minuti di “Tonal gravity”, forse il brano migliore del lotto), in cui piano e chitarra si scambiano i ruoli di continuo, ad un pezzo che sembra uscito da un album di Joe Satriani (“Flat line”), ad un ipotetico e moderno jazz-rock di ispirazione crimsoniana (“22 on 22”). Ed è ancora il jazz a portare alla conclusione il cd, con “Acid approach”, in cui c’è anche un bel sax in primo piano. Siamo di fronte ad un lavoro in cui è ovviamente la chitarra ad essere quasi sempre sotto i riflettori; Kunita si mostra abile guitar-hero e, partendo dalle leggende dello strumento che negli anni d’oro del rock diedero le prime “lezioni” (Hendrix, Beck, Blackmore, ecc.), è pronto a seguire le orme dei vari Satriani e Vai, senza eccedere in quelle manie di protagonismo che spesso accompagnano coloro che hanno una grande padronanza dello strumento. Tirando le somme, in “Fuzzy logic” troviamo tanta fusion, sprazzi di prog, rimandi al jazz classico, ma anche accostamenti a suoni più duri, aperture di grande melodia e, alla base di tutto ciò, una tecnica pregevole. Disco in generale apprezzabile, ma che può anche essere considerato una sorpresa persino splendida da chi adora i virtuosi della sei corde.

 

Peppe di Spirito

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