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KEEP IT DEEP Hatching Li Mohe Music 2012 BEL

Già da qualche anno, specie sui siti web statunitensi dedicati al progressive si abusa molto di un termine alquanto discutibile per definire certi artisti e certi album. Si parla sovente, infatti, di “eclectic prog” per certe proposte troppo spesso molto diverse tra loro, andando perciò a creare ulteriore confusione in chi legge. Bisogna ammettere, tuttavia, che in certe situazioni etichettare un gruppo la cui musica spazia in più generi e sonorità diventa un problema e l’aggettivo “eclettico” può calzare a pennello. E’ sicuramente il caso della band belga denominata Keep It Deep, che giunge al debutto discografico con “Hatching”. I musicisti, in realtà, descrivono la loro proposta come “psychedelic prog rock”, ma dopo l’ascolto dell’album direi che una simile definizione è quanto meno limitativa, visto che di carne al fuoco ce n’è tantissima. King Crimson, Dream Theater, Yes e Mr. Bungle sono le fonti di ispirazione apertamente dichiarate, ma si potrebbero anche far scattare altri paragoni, intravedendo somiglianze varie con Rush, Djam Karet, Liquid Tension Experiment, Faith No More, Santana, Frank Zappa, ecc. Dal jazz-rock vivace e aggressivo dell’iniziale “Dodecahedron” e dal robusto e tecnico hard-rock di “Chicken chips” (che ha anche una breve e sorprendente pausa centrale più riflessiva, con un affascinante intervento del violoncello), si passa poi al rock stralunato/alternativo di “Space squirrels”. Tentazioni world-psichedeliche nel crescendo di “Facial”, mentre è particolarmente stravagante la strumentale “Alt ctr del”, di base un prog-metal spedito che mostra la preparazione dei musicisti, ma che contiene inserimenti addirittura spagnoleggianti. Le lunghe “Bright light Sun” e “Ciocia Teresa”, invece, diventano palestra per scorribande virtuosistiche, con costruzioni molto particolari e dinamiche imprevedibili, che fanno passare improvvisamente da frangenti pacati a scoppi d’energia ad alto tasso d’adrenalina, senza disdegnare passaggi anche scanzonati, impasti elettroacustici, bizzarre melodie, bandismo zappiano, virate jazzistiche (con tanto di contributi di fiati) e guitar-solos prolungati. Insomma, di tutto, di più… Il sound è spesso incentrato sulla chitarra, ma c’è anche un attento lavoro sugli sviluppi melodici e sulle armonie vocali. Tanta bravura, ma anche poca linearità che non conferisce il giusto feeling e non permette un ascolto perfettamente godibile. Attendiamo i Keep It Deep ad una nuova prova curiosi di vedere le direzioni in cui si muoveranno.



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Peppe Di Spirito

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