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KANT FREUD KAFKA Onirico autoprod. 2017 SPA

Ore e ore spese nel vano tentativo di capire come mettere in relazione la "Critica della ragion pura" con "L'interpretazione dei sogni" e "La metamorfosi" per poi scoprire che l'associazione fra i tre personaggi del monicker deriva da un semplice gioco fra amici... eppure mi sono convinta lo stesso che, nonostante la casualità di tale scelta, un qualche nesso che si sposi felicemente con una musica così particolare da qualche parte ci deve essere. Forse se ne deve essere reso conto anche Javi Herrera, batterista, cantante, compositore e unico artefice di questo interessante progetto musicale che personalmente ho scoperto nel 2014 con la pubblicazione dell'esordio "No tengas miedo". Così come allora, Javi ha raccolto attorno a sé una folta schiera di musicisti, dodici in tutto e diversamente assortiti rispetto al precedente album, per dare vita alle sue nuove composizioni.
Questa volta non c'è nessuna storia a fare da raccordo alle varie tracce ma un unico tema, quello del sogno, che permea a tutto spessore l'intera opera. Il mondo onirico, che può essere piacevole da visitare ma, non dimentichiamolo, a volte anche insidioso e terribile, si materializza attraverso visioni musicali ampie e fluttuanti, emotivamente forti, visitate secondo uno stile che avevamo già imparato ad apprezzare e in cui si compenetrano con naturalezza elementi classici ed elettrici.
Una gustosa novità la notiamo immediatamente nell'inserimento di una seconda voce solista accanto a quella del già citato leader, nelle vesti di Alia Herrera, che ci regala un'interpretazione angelica e... è proprio il caso di dirlo, sognante. Riguardo alle colorazioni degli strumenti notiamo ancora un'ampia partecipazione degli archi, con viola, violino e violoncello, ma anche una discreta presenza delle tastiere, con suoni che si materializzano grazie alla tecnologia VST ad opera dello stesso Herrera. Oltre a ciò troviamo le chitarre elettriche di German Fafian e di Pol Sanchez a fornire una solida innervazione rock, il basso di Daniel Fernandez Campos e una serie di altri strumenti come oboe, mandolino, dulcimer, bouzouki e contrabbasso. Ancora una volta ci si basa su composizioni medio lunghe, sei in tutto, che oscillano da un minimo di cinque a un massimo di undici minuti.
Le influenze classiche pesano tantissimo nel contesto di queste creazioni in fin dei conti incatalogabili e lo percepiamo immediatamente fin dalla primissima traccia che risponde al titolo estremamente suggestivo di "Insomnio de una noche de verano" che fa il suo ingresso regale sfoggiando uno scintillante pianoforte che si fa strada fra cascate maestose di testiere. Le melodie sono romantiche, da film, disegnate con delicatezza ed è come attraversare a piedi nudi l'ampia navata di una cattedrale, illuminata a tratti da fendenti mobili di luce. La capacità di creare visioni e suggestioni nella mente di chi ascolta rende perfettamente giustizia al tema principale dell'album interpretato nelle sue diverse sfaccettature con grande gusto e fantasia. I suoni sono rarefatti, indugianti, e ci lasciano come in trepida attesa di qualcosa. La chitarra elettrica è pulita, Floydiana ma i suoi lunghi assoli fanno spazio sul finale a una lunga sequenza cameristica con violino e pianoforte che si intrecciano in ampi spazi vuoti.
Stessa sensazione di vuoto con la successiva "Dulces Sueños" col piano filiforme, gli archi e la voce di Alia che ha quasi un sapore liturgico, ricordando qualcosa dei primissimi After Crying. Il brano è impalpabile, dolcemente onirico e crepuscolare. "Es quan dormo que hi veg clar" si apre ancora con una visione sacrale dominata da cori misteriosi col suono dell'organo ed il piano glaciale. Il tutto si trasforma sotto alle nostre orecchie e con grande stupore in un brano di prog sinfonico melodico e romantico e, a dimostrarci che nei sogni tutto può mutare in un battito d'ali, ecco un assolo di chitarra dalle inflessioni fusion ed esplosioni tastieristiche squisitamente Genesisiane in un rapido fluttuare ed alternarsi di stili ed influenze.
“Vida i muerte” è un titolo drammatico dominato ancora da piano e archi con seducenti soffusioni tastieristiche. Le melodie sono disegnate dall’oboe con suggestioni cameristiche che ancora una volta volano verso gli After Crying.
Le ultime due tracce sono in inglese anche se, come del resto accade sempre in questo album, sono le sequenze tastieristiche a prevalere. “A nightmare on major St.” si apre con percussioni tribali disconnesse e gli archi stregati, sfregati con rabbia in segno di minaccia. I suoni si irrobustiscono notevolmente ma per poco, tornando su registri più languidi. Un prolungamento del flusso ritmico dei tamburi lega il brano appena trascorso a quello conclusivo, “Awakening” che sul più bello apre uno spiraglio su inaspettate suggestioni folk dai riflessi Oldfieldiani. Il brano è un dolce fluire di emozioni, abbellito dalle melodie dell’oboe e da lunghi assoli di chitarra con un inserto flamenco sul finale che mescola ancora le carte in tavola, con tanto di tacchi che battono ritmicamente sul suolo.
Rispetto all’esordio troviamo forse una minore commistione stilistica, con una prevalenza di tematiche classicheggianti, anche se gli spartiti rimangono molto movimentati, come il sonno di chi non riesce a trovare una posizione confortevole. Le capacità di scrittura di Javi sono notevoli e non possiamo che confermare la particolarità e la bontà del suo progetto che brilla in ecletticità, fantasia e sentimento. Forse il risultato può disorientare o spiazzare per certi versi ma rimane a mio avviso un’esperienza da provare e che non scorderete facilmente.



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Jessica Attene

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