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LITMUS You are here Space Music Ltd 2004 UK

Un esordio osannato all’unanimità dalla critica specializzata in space-rock quello degli inglesi Litmus, una band in attività da anni con formazione mutevole anche nel numero dei componenti e con già all’attivo una paio di demo-tapes e la partecipazione al tributo agli Hawkwind “Daze of the Underground”.
I Litmus odierni consistono in un sestetto composto di ben tre tastieristi (Anton ai sintetizzatori, Matt al generatore audio ed Andy Thompson – ideatore e webmaster del famigerato sito Planet Mellotron – all’Hammond ed ovviamente al suo amatissimo M-400), Simon alle chitarre, Martin al basso e Marek alla batteria.
L’apertura di “Infinity drive” mette subito le carte in tavola e chiarisce che l’ora di musica che ci aspetta sarà all’insegna di uno space rock senza compromessi dai connotati hard, dalla ritmica sempre sostenuta ma spesso addirittura frenetica e inequivocabilmente figlio delle pionieristiche imprese del capitano Dave Brock e della sua ciurma dedita all’esplorazione delle galassie e alla ricreazione chimica.
Tra i ruvidi riff di chitarra, i gorgoglii del synth e del VCS3, i frequenti interventi degli archi del Mellotron (in verità un po’ penalizzati dal mix) ed un cantato a più voci volutamente poco curato, ci ritroviamo idealmente catapultati nel periodo d’oro degli Hawkwind (tra “Space ritual” e gli album con Simon House), da cui i nostri si distinguono però per l’assenza dei fiati (e del violino).
A placare la frenesia, tra i lunghi brani portanti troviamo brevi intermezzi strumentali affidati al Moog e al Mellotron, ma si tratta di brevi occasioni per tirare il respiro prima di ripartire a piena velocità cavalcando riff spesso ripetuti fino allo stordimento. Fa forse eccezione la breve title-track, sostenuta dalla chitarra acustica ed un cantato dal vago feeling western, ma si tratta pur sempre di un coro di space cowboys.
Non c’è spazio per gli aspetti riflessivi o esotici della psichedelia (insomma, non immaginate qualcosa di simile a Porcupine Tree od Ozric Tentacles!): i Litmus sospingono la loro nave astrale a tutta birra senza guardarsi indietro ed i brani più lunghi come “Stone oscillator” (21 minuti) o “(Theta wave) inductor” potrebbero provocare un forte mal d’aria se non si è più che avvezzi a viaggiare su mezzi interstellari e senza cinture di sicurezza. Se la proposta riesce a mantenersi interessante è sicuramente merito della varietà nelle timbriche delle tastiere, che fortunatamente impedisce ai brani di trasformarsi in granitici monumenti al power-chord ed iniettano classe ad un sound altrimenti grezzo e in un certo senso primitivo.
Cosa aggiungere… consigliato agli amanti dell’hard-space dei 70’s e soprattutto a chi considera la psichedelica figlia del clangore degli Hawkwind piuttosto che della magniloquenza dei Pink Floyd o dei bizzarri drones umoristici dei Gong.

 

Mauro Ranchicchio

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