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LABIRINTO DI SPECCHI Hanblecheya Lizard Records 2010 ITA

“A volte ritornano”. Possiamo senz’altro citare Stephen King per descrivere una situazione che negli ultimi anni ha visto tanti protagonisti del passato progressivo italiano tornare a calcare le scene con nuovi prodotti discografici o nostalgiche esibizioni dal vivo. Non c’è dubbio, quindi, che l’annunciata presenza in questo album della voce di Paolo Carelli abbia fatto venire l’acquolina in bocca agli estimatori dei Pholas Dactylus, che con il loro unico album, “Concerto delle menti”, avevano provocato parecchi brividi nella spina dorsale degli smaliziati ascoltatori a cui non bastavano le rassicuranti melodie del progressive sinfonico. Se però i “Labirinto di specchi” non sono i Pholas Dactylus, lo spettro del gruppo milanese aleggia pesantemente nei brani di “Hanblecheya”, il quale rappresenta in un certo senso una sorta di erede spirituale del suo antenato pubblicato ormai trentotto anni fa.
Carelli fa la sua apparizione come collaboratore, declamando i consueti versi criptici (tutti a opera del gruppo tranne "Nel Nulla Etereo soggiogato dall'Ignoto la Mente si espande", scritta proprio da Carelli) in alcuni brevi momenti sparsi nei brani, i quali hanno quindi un carattere essenzialmente strumentale. Nel disco si respira una costante atmosfera di tensione, interrotta soltanto in pochi momenti di pausa apparente che bastano a malapena per riprendere fiato. Strumentalmente molto ricco, con due tastieristi che lasciano spazio anche alla chitarra, “Hanblecheya” è un trip sonoro, un viaggio musicale tra rock e psichedelia, progressive e sperimentazione, tra suoni europei ed influenze orientali, tra momenti rilassati e furiosi. I sintetizzatori creano una trama fatta di sibili spaziali, di suoni liquidi ed eterei oppure stridenti, mentre la chitarra si lancia spesso in esplosioni distorte alternate ad arpeggi sinistri, con basso, piano e organo a ristabilire il contatto con la realtà. Tutti i brani riescono a trovare un riuscito equilibrio tra antichità e modernità, stabilendo un punto d’incontro tra le influenze dei Pink Floyd e del post-rock, tra lo space rock e la ricerca di soluzioni più melodiche e progressive (ad esempio in “Fantasia”). “Eclissi” e “La maschera della visione”, con i loro arrangiamenti percussivi e le linee melodiche esotiche, creano atmosfere da putridi film horror, “Purpurea” alterna disperazione e rabbia, mentre i quasi venti minuti di “Foll(i)a” ci scagliano in uno stato di trance e overdose sonora che rappresenta la sintesi del discorso musicale dei Labirinto di Specchi.
In conclusione, possiamo dire che “Hanblecheya” è un album dotato di una propria anima e di una spiccata personalità, e tramite esso, come il significato del titolo fa intendere, i ragazzi toscani hanno intrapreso la ricerca della visione musicale che, a differenza del suo punto di riferimento di tanti anni fa, speriamo duri molto più a lungo



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Nicola Sulas

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PHOLAS DACTYLUS Concerto delle menti 1973 (Vinyl Magic 1995) 

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