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LYRIAN The jester's quest in the city of glass autoprod. 2016 UK

Il nome Lyrian ricorda in parte la parola "lira", volendo con ciò creare un collegamento col mondo della poesia e della musica attraverso lo strumento che nell'antichità accompagnava i versi dei poeti, ma allo stesso tempo è una specie di contrazione di librarians, bibliotecari, mestiere comune a tutti i membri fondatori del gruppo che nasce nell’Oxfordshire nel 2006, inizialmente come trio. Qualche anno più tardi, nel 2009, alla formazione di base composta da John Blake (chitarra e voce), Alison Felstead (basso e voce) e Paul W. Nash (tastiere, chitarre, strumenti a fiato, percussioni e voce), si viene ad aggiungere il batterista Edgar Ed Wilde e questa configurazione resiste tutt'ora immutata. L'esordio discografico risale al 2008 ed è un concept intitolato "Nightingale Hall" al quale fa seguito, nel 2012, un secondo concept, "The Tongues of Men and Angels" e con questo terzo lavoro, ecco un ennesimo concept... e la storia non finisce qui, visto che la band sta attualmente lavorando, contemporaneamente, ad altri tre dischi, uno dei quali, al quale è stato assegnato il titolo provvisorio di "Grammar of the Language of the People of the Moon", sarà sicuramente un concept.
I Lyrian non fanno mistero di volersi ispirare ai grandi gruppi del passato e del resto sarebbe quasi impossibile non notarlo ascoltando un disco che appare, pur con le sue peculiarità, decisamente manieristico. Come il titolo stesso suggerisce, il protagonista è un giullare che, attraversando luoghi bizzarri e fantasiosi, erra alla ricerca di una misteriosa ricompensa. In tutte e dieci le tracce possiamo udire la voce del narratore, Brian Nash che, passo passo, ci guida di avventura in avventura. Fra giullari, la mania dei concept e le ambientazioni fantasiose e fiabesche, ecco che il gruppo ricorre ad alcuni grandi stereotipi del prog sinfonico con riferimenti abbastanza chiari ai Marillion che non tardano a farsi sentire. I tratti new prog sono indiscutibili ma il sound complessivamente ci riporta più vicini agli anni Settanta con un grande uso di tastiere vintage e riferimenti abbastanza puntuali ai Genesis, tanto che, l'incipit di "Ancient Spirals", ma questo è solo un esempio, sembra proprio quello di "The Fountain of Salmacis". Qua e là sono anche disseminati piccoli richiami alla musica antica, con intarsi medievaleggianti, specie quando entra in scena il flauto ma anche qualche vago sentore new wave in un ibrido che ha un sapore tutto suo.
Gli elementi per poter parlare di un lavoro grazioso, senza pretese e simpatico da ascoltare ci sono tutti ma sarebbe poco corretto sorvolare sui punti di criticità, che non mancano affatto. La scelta di ricorrere al narratore non mi convince molto perché spezza di fatto il ritmo dell'album distraendo al contempo dall'ascolto. L'altro punto dolente è rappresentato poi dal canto di Paul Nash, che sarebbe poi figlio di Brian, come forse avrete già capito, come a dimostrare che la genetica ha il suo peso in certi casi: la tecnica è decisamente carente, il timbro non proprio piacevole e la capacità di coinvolgere emotivamente direi prossima allo zero. Alcune sequenze strumentali sono abbastanza pittoresche e accattivanti, grazie anche a interessanti innesti di Mellotron, organo e arpa e aperture idilliache Hackettiane ma può accadere che il cantato riesca addirittura a vanificare gli sforzi dei musicisti, come ad esempio accade in "The Scented Chamber", concitata all'inizio con solide chitarre elettriche e l'organo bene in evidenza: con l'ingresso della voce tutta l'impalcatura strumentale, finisce col collassare, soprattutto le tastiere che sembrano quasi smarrirsi. Anche nei momenti più distesi il cantato non appare all'altezza, come può avvenire nella placida, ma anche molto piatta sul piano emotivo, "Here Lies a Mermaid". Un altro appunto lo rivolgerei poi alla batteria, alcune volte troppo schematica e poco flessibile, tanto da sembrare campionata, e mi viene in mente "The Fall of the Cards", vivace e brillante sul piano strumentale ma con un timbro delle percussioni non bellissimo.
Forse, tirando le somme, dalle mie parole potreste concludere che gli elementi a sfavore siano più numerosi dei pro ma a difesa dei Lyrian posso dire che nonostante tutto hanno realizzato un'opera non pretenziosa e divertente che potrebbe avere i suoi estimatori. Forse concentrandosi su meno progetti alla volta, curando di più i particolari e magari scegliendo un cantante di ruolo potrebbero dare un valore maggiore ad idee che non sono affatto da sottovalutare.



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Jessica Attene

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