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MOONLIGHT Downwords Metal Mind Productions 2005 POL

Gruppo da considerarsi ormai veterano della vivace scena rock polacca, i prolifici Moonlight arrivano con questo “Downwords” all’invidiabile traguardo della decima prova discografica, potendo vantare una carriera decennale ed un buon seguito di pubblico in madrepatria.
La proposta può essere certamente etichettata come rock gotico, ma almeno nello scorrere delle nove tracce di questo album (ma tra falsi finali e hidden tracks si finisce per perdere il conto…) si può notare chiaramente e a più riprese la volontà di allontanarsi dagli angusti cliché del genere: una mossa riuscita e sostenuta dalla buona creatività della band il cui punto di forza resta comunque la voce di Maja Konarska, sempre in bilico sulla linea sottile tra un’infantile innocenza ed un’allusività appena accennata (in tal senso non distante da Sylvia Erichsen, l’ex vocalist dei White Willow).
Le ritmiche sono generalmente rallentate, l’approccio è dark e solo sporadicamente lambisce territori metal con riff insistiti di chitarra elettrica; l’uso di sequencer come base ritmica e del violoncello può portare alla mente i Paatos del secondo “Kallocain” (ascoltate la terza traccia “Pati”…) e l’uso sparso del piano Rhodes contribuisce a creare un’atmosfera un po’ irreale, la stessa amata da celebri band di provenienza scandinava (Landberk, Anekdoten) da cui i Moonlight si distaccano a causa dell'inclinazione per l'estetica gothic ma con cui condividono senza dubbio una sensibilità oscura e “malata”.
La ripetitività di alcuni passaggi, che porta alla dilatazione eccessiva di molti brani, può forse scoraggiare l’ascoltatore prog (ammetto di aver apprezzato il disco solo dopo 5 o 6 ascolti…) che qui troverà ben pochi sinfonismi ed una sperimentazione limitata all’utilizzo dell’e-bow e di effetti elettronici (le tastiere hanno comunque un ruolo limitato, solo il piano si fa spesso strada come strumento solista) ed alla costruzione sghemba dei brani. Preso a piccole dosi l’album si fa indubbiamente apprezzare, se non altro gli autori meritano un plauso per essersi avvicinati con quest’album al progressive rock evitando con successo tutti i logori luoghi comuni del genere ed aver mantenuto una propria indiscutibile identità… questo potrebbe negar loro il gradimento immediato di una fetta di potenziali acquirenti, ma per chi abbia voglia di una piccola digressione l’ascolto di “Downwords” non è affatto da scartare a priori.

 

Mauro Ranchicchio

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