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MARBIN Marbin autoprod. 2009 USA/ISR

E’ leggero il velo sul quale Dani Rabin (chitarra) e Danny Markovich (sassofono) hanno sparso le loro note. E’ un velo che volteggia facilmente e in maniera sempre nuova, casuale.
Nato musicalmente in Israele, ma ormai trapiantato a Chicago, questo duo si definisce di ambient jazz. Vediamo … Innanzitutto, pur proponendo landscapes morbidi e sinuosi, ci sono momenti più ricchi le cui sonorità si avvicinano a forme quasi di jazz fusion se non addirittura a jazz rock e il telaio sul quale tessono il loro languido velo è strutturalmente più articolato. Il duo facilmente utilizza esili strutture di blues gilmouriano su fondamenta di provenienza jazz, con un risultato che si riesce a riassumere tra un Pat Metheny, che sposa un Carlos Santana e un Astor Piazzolla, che sposa uno Stan Getz. Non c’è batteria, solo a tratti percussioni animate da spirito tradizionalista, quasi folk. C’è un forte senso di pace, interiore ed esteriore. C’è l’evocazione di viaggi verso terre aperte e solari e su tutto molta positività.
Il disco è formato da dieci brani ed è piuttosto breve, passando di poco i trentacinque minuti, ma riesce bene a lanciare l’ascoltatore in una dimensione pacata e rilassata dove la straordinaria capacità tecnica dei due è dosata e proposta con grande naturalezza. Un solo brano, “Mei”, utilizza il supporto di Mat Davidson che riempie di vocalizzi filtrati ed eterei la traccia. Per il resto sono semplici duetti, ma estremamente variabili fino a giungere al bellissimo “Cuba” brano impostato su tango latino, sapientemente fuso in atmosfera jazzy pop, a “Rust” dove il sassofono riesce a trasportare con decisa serenità mente e corpo e al dolce arpeggio della conclusiva “Sleep Now”.
Disco convincente, pur nella sua brevità. L’unica cosa che mi ha lasciato un po’ perplesso è la scelta della copertina, con questi animaletti rabbiosi e urlanti, in atteggiamento molto distante dai contenuti musicali, ma è un particolare da nulla.


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Roberto Vanali

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