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MAGNETIC SOUND MACHINE Chances & accidents Lizard Records 2010 ITA

Come spesso accade, dietro a nomi e titoli anglosassoni, ecco che troviamo un’ottima band totalmente italiana. Una band molto versatile che passa dal progressive sinfonico al jazz rock fusion con molta naturalezza e, devo dire, con risultati sempre ottimi. Per l’opera in questione i giovani trevigiani, insieme dal 2005, offrono il loro lato jazz rock, dedicandosi a temi freschi, ben articolati, supportati da ottima tecnica, senza mai sforare in musica troppo intricata. Piuttosto evidenti i riferimenti a certa fusion di stampo americano recente, ma ancora più evidente ha il ricorso a forme e modi del jazz rock settantiano inglese e non solo, non certo ultimi, i Brand X.
Certo è che passione, personalità, qualità tecniche e fantasia compositiva non mancano alla band, come già evidenziarono nel loro precedente disco, "Chromatic Tunes" del 2008, che si pose come coraggiosa e ottima base per dei giovani affacciati in un mercato che, rovista dove vuoi, chiede ben altre cose. Il jazz rock formato Perigeo e, a tratti, Weather Report o Return To Forever, si miscela sapientemente a notevoli groove di provenienza funky e crea un sapore strano, che spesso si avvicina a forme partenopee di jazz, rotolante e palpabilmente emozionante.
Quindi non solo tecnica, ma anche massicce dosi di anima e di cuore, senza i quali la loro musica non passerebbe nella stessa maniera.
Dopo i primi ascolti, c’è un qualcosa che “arriva” immediatamente e altre cose che seguono con tempi e modi diversi: nel caso (nel mio caso) il primo decisivo impatto è stato il batterista Riccardo Pestrin, dalle notevoli capacità ritmiche, dotato di grande e rara musicalità, che ripercorre uno stile rapido, ricco e compresso che, considerando un margine di crescita futuro, potrebbe stilisticamente collocarsi un po’ a metà strada tra Simon Phillips e Furio Chirico. Il suo drumming, unito al basso rotolante di Stefano Volpato, dà un segno veramente deciso allo sviluppo ritmico del lavoro. Ottima e rapida impressione positiva anche per il fiatista (sax e flauto) Andrea Massarotto che, pur membro storico, ha lasciato la band poco dopo l’uscita del disco. Il suo lavoro è voluminoso e determinante e mai accessorio per il sound complessivo, quindi è da capire quali potranno essere gli sviluppi futuri e le prossime scelte sonore della band.
Impossibile non citare il lavoro tastieristico di Alessandro Caldato, sempre impegnato tra grandi tappeti di atmosfera e parti solistiche molto equilibrate e azzeccate come nel synth solo dell’ottima “Le Chat Noir” o nelle parti di piano elettrico di “Chansis” e di “Axidents” e quello del chitarrista Giacomo Girotto, che – forse – esce un po’ meno ma dimostra un tocco jazzistico invidiabile, come in “Karizma”. Chiudo la descrizione citando la finale “Every one can sing a jazz rock song under the shower”, meno di tre minuti di concentrato jazz melodico sinfonico, con persino qualche vago riferimento canterburyano.
Musica non facile, né proporla, né certamente suonarla, eppure portata in maniera così sciolta che potrebbe rischiare di arrivare ben al di là di una modesta e cauta idea iniziale. Bravi e consigliabilissimi.



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Roberto Vanali

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