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MADELGAIRE (im)Patience autoprod. 2010 BEL

“…. Lost paths, rising sun, saying trees in the wind, dreams from afar, a day like the others, almost…..and an unexpected meeting of five musicians, sense explorers, off-tracks bards, unified by the invisible waves of mineral music and a very strong attraction to hedonism, ready to accomplish a timeless trip through music and bouts of delirium. Madelgaire was born during the banquet of equinox with discipline and apocalyptic asymmetric rhythms. This is a colourful opera, driven by hypnotic thoughts where only the fool remain silent …. “
E’ con queste parole presenti all’interno del booklet del CD che questi ragazzi dei dintorni di Bruxelles, attivi sulla scena prog già dai primi anni del 2000, si presentano al pubblico.
Fin dal primo ascolto, quanto proposto in questo primo album ufficiale (autoprodotto) dalla band belga aveva subito attirato la mia attenzione per la capacità di realizzare brani accattivanti con particolare attenzione verso canto, testo e melodia, anche se, la musa ispiratrice dei Madelgaire risponde indubbiamente al nome di “Genesis”.
A sorprendere ad ogni modo è la naturalezza con cui, in più di una circostanza, la band riesce a distaccarsi dal modello sopraccitato, realizzando brani di pregevole architettura e di “giusto” equilibrio tra il “mai banalmente semplice” e il “mai inutilmente complesso”.
L’album parte subito con quelli che sono i due brani più vecchi realizzati dal gruppo e già presenti nel demo del 2002 “Goes to the Collégiale” e cioè “Gimme a Light” e “Vae Victis”. Il primo, cantato in inglese dalla particolarissima voce del batterista Pascal Rocteur, ci riporta immediatamente indietro nel tempo immergendoci in atmosfere che spaziano dal periodo Genesisiano di “A trick of the tail ” a quello dei primi lavori degli IQ, con qualche eco Marillioniana.
I continui e bellissimi ricami acustici tra chitarra e mandolino di Stéphane Letertre non ci abbandonano mai e ci introducono piacevolmente nel secondo brano, che costituisce di fatto il primo dei tre che compongono la suite “Les Banquets d’Equinoxe”, vero e proprio cuore del disco, cantata interamente in francese.
Ad aprire le danse di “Les Banquets .. “ è questa volta la voce di Dominique Lossignol che ci catapulta, con il suo modo di cantare quasi teatrale da “cantastorie”, nel magico e surreale mondo dei Madelgaire, mentre chitarre e tastiere, sotto l’incedere preciso di ritmiche che ancora una volta riportano alla memoria gli IQ, si suddividono i compiti scambiandosi sapientemente i ruoli di protagonista e comprimario, senza infastidirsi.
Si arriva così al pezzo più intimistico dell’album, “Les Murs“, cantato questa volta da Pascal, dove la potenza del testo è forse superiore a quella strumentale, anche se i tappeti tastieristici di Bertrand Vanvarembergh - che per l’occasione sfodera tutto il suo armamentario - sono semplicemente magnifici.
Ma il bello deve ancora arrivare: Pascal passa nuovamente il testimone a Dominique che, sui fraseggi quasi folk-medievaleggianti del mandolino di Stéphane, ci interpreta magistralmente “Dame Brume“, chiudendo di fatto le danse di “Les Banquets .. “. Qui tutte le cose migliori proposte dalla band si incontrano, si fondono e si liberano naturalmente deliziando le nostre orecchie per un brano che forse può considerarsi non solo il più bello ma anche il più personale del lotto; canto, testo e strumenti sono semplicemente meravigliosi e convivono in grande sintonia lasciando che siano le tastiere di Bertrand a fare all’occorrenza la parte del leone.
Chiudono il disco la strumentale eseguita dal vivo, “Seul le fou reste silencieux“, di Hackettiana memoria, e il brano “Regrets”, cantato in inglese nuovamente da Pascal, che ripropone le sonorità e lo stile del brano iniziale “Gimme a Light”.
Per concludere: un disco suonato cantato e prodotto molto bene da musicisti d’esperienza con una particolare predilezione non solo per la fluidità e la dolcezza delle melodie, ma anche per la costruzione di buone architetture con testi di spessore e un occhio di riguardo ai modelli del passato, senza rimanerne tuttavia del tutto prigionieri.
In attesa del loro nuovo album sul quale stanno già lavorando, mi auguro siate in tanti ad avere la “Patience” (scusate il gioco di parole) di sentire e magari apprezzare questo loro lavoro d’esordio.



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David Aldo Masciavè

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