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MAPPE NOOTICHE Cieli sotterranei Ma.Ra.Cash 2012 ITA

Dura la vita degli space-rocker, almeno in Italia… Sembra quasi che chi scelga di puntare su questo ramo del prog, seguendo un po’ le orme di Pink Floyd, Gong, Agitation Free, o, per indirizzarsi in tempi più recenti, Djam Karet, Ozric Tentacles e Porcupine Tree, sia destinato a rimanere nell’anonimato, indipendentemente dalla qualità della musica proposta. Mi vengono in mente i Sunscape, autori di un autentico gioiello sul finire degli anni ’90, ma passato quasi inosservato. Negli ultimi anni, invece, si parla davvero poco delle Mappe Nootiche che, dopo la pubblicazione di “Terra” nel 2008, hanno fatto il bis dopo tre anni con “Cieli sotterranei”. Eppure questa band, nata dalle ceneri degli M.C. Noon, e il cui nome deriva dalle opere di Stefano Benni, ha sfornato due lavori che meritano davvero la massima attenzione.
“Cieli sotterranei” si apre con un brano che permette immediatamente di dare un’idea ben precisa della proposta delle Mappe Nootiche, con rumori vari che si uniscono a tastiere creando un’atmosfera particolare (Pink Floyd docet), a cui fa seguito l’entrata della chitarra elettrica elegante e di ritmi ipnotici dai sapori quasi etnici. Il sound si dilata, si avvolge su sé stesso, si dirige verso una psichedelia moderna, ossessiva, ma non opprimente, pregna di spunti romantici e fuori dal tempo. Emblematica è anche la seguente “Ahimsa”, che parte in sordina, ci fa ascoltare la voce di Gandhi, finché non arriva un tema pianistico di rara bellezza che guida il brano nelle sue evoluzioni, senza disdegnare nuovi riferimenti floydiani, fino a toccare gli otto minuti. Più in sordina e dark la title-track, nella quale i musicisti “giocano” con suoni e timbri, sperimentano senza eccedere, in un ambient che deve qualcosina a David Sylvian. Il pezzo sarà poi ripreso nel finale, in una versione più compatta e ritmata.
Tutte le composizioni hanno un respiro abbastanza ampio: si va dai sei minuti e mezzo fino a sfiorare i dodici e questa caratteristica permette ai musicisti di far viaggiare i loro strumenti in un flusso naturale e sognante di note, tra progressioni fantasiose che sembrano venir fuori da una jam session degli anni ’70 e voli spacey coinvolgenti e carichi di un magnetismo particolare, difficile da descrivere. Il rovescio della medaglia è che a volte i musicisti eccedono nel prolungare le composizioni, mantenendosi statici un po’ troppo a lungo col rischio di rendere le cose un po’ monotone (ma si tratta di un piccolo difetto che non inficia più di tanto la riuscita del disco in generale). Ciò si ravvisa soprattutto nelle due parti di “La stanza di Mandelbrot”, e in generale con il trascorrere del tempo, visto che per dischi di questo genere una durata complessiva non elevata sarebbe l’ideale (il cd arriva quasi a sessantasei minuti in tutto e ci sono momenti in cui potrebbe diventare difficile mantenere una certa concentrazione per seguire attentamente l’evolversi della musica). Solo “Terra!” si mostra più compatta e vivace, con tanto di assolo gilmouriano, pur non distaccandosi dall’andamento generale. La band è comunque ispirata, mostra una certa freschezza e idee chiare, derivanti anche da vari anni di esperienza alle spalle e la qualità della musica resta mediamente elevata. Con piccoli accorgimenti e un po’ di dinamismo in più potrebbero realizzare grandissime cose, ma già con due album del calibro di “Terra” e “Cieli sotterranei” le Mappe Nootiche hanno mostrato capacità di creare uno space-rock sognante e avvincente, che merita tutto il nostro supporto.


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Peppe Di Spirito

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