Home
 
MACKENZIE THEORY Out of the blue Mushroom 1973 (Aztec Music 2009) AUS

Ecco la ristampa di quello che venne presentato come il primo album interamente strumentale di rock australiano completamente originale. Primati a parte, è certo che i Mackenzie Theory erano una fucina di sonorità affascinanti e di sicura presa dal vivo, grazie soprattutto all’estro di un chitarrista eccezionale come Rob MacKenzie, musicista di talento che aveva avuto già esperienze significative con gruppi come i Friends, storica realtà prog di Melbourne, o gli Aztecs di Billy Thorpe, e alla viola elettrica stregata di Cleis Pearce. Gli spiriti ribelli di questi musicisti sembravano fatti per suonare assieme ed è stato proprio il destino a farli incontrare, una notte di Settembre, nel 1971. Fu allora che Cleis adocchiò il talentuoso chitarrista, durante un’esibizione al celebre Arts Factory di Sydney, offrendogli di jammare assieme e quando questi le chiese di seguirlo a Melbourne per mettere su un nuovo gruppo, lei non ci pensò su due volte e lo seguì. Cleis, violinista di rigorosa estrazione classica, era inquieta ed indisciplinata e, lasciata la famiglia all’età di diciotto anni, preferì una vita arrangiata ed avventurosa a pieno contatto con la brulicante scena rock underground del momento. Una volta reclutati il bassista Mike Leadabrand ed il batterista Andy Majewski, i Mackenzie Theory presero forma. Dal nome si intuisce benissimo la centralità del leader che aveva le sue teorie e le sue idee tutte particolari e dare alla luce quel gruppo era per lui un po’ come mettere in pratica la sua filosofia di vita che poneva la musica al centro del suo universo. I Mackenzie Theory non ci misero molto ad imporsi nello scenario musicale di Melbourne, nessuno infatti in Australia suonava come loro che dal vivo facevano letteralmente faville. Fu così che la pop star Michael Gudinski non potette fare a meno di notarli e scritturarli nella sua agenzia, la Consolidated Rock. Il primo pezzo pubblicato dal gruppo fu "New Song And", una canzone di otto minuti che venne inclusa nel disco inaugurale della Mushroom, il triplo live “The Great Australian Rock Festival Sunbury 1973”, pubblicato nell’Aprile di quell’anno. Il gruppo decise quindi di provare a registrare qualcosa in modo professionale ma quell’esperienza non si rivelò molto positiva per la band che non si sentiva affatto a proprio agio in quel contesto strutturato ed artificiale. La musica dei MacKenzie Theory era infatti prevalentemente improvvisata e nelle intenzioni del gruppo ogni performance sarebbe dovuta essere diversa rispetto all’altra. L’unica costante erano le parti di basso che Rob scriveva appositamente per Mike, il quale le suonava così come gli venivano proposte. Tutto il resto veniva giù in modo quasi torrenziale, come per magia, grazie al loro intuito, istinto e bravura. Allora la Mushroom tentò un compromesso organizzando un set dal vivo in studio che andò a costituire l’album d’esordio, “Out of the Blue”, col quale si tentò di catturare in qualche modo l’anima del gruppo così come si poteva rivelare on stage, in tutta la sua magnificenza, muscolarità e brillantezza. Questo stratagemma permise inoltre alla band di sfruttare al meglio le magre risorse finanziarie messe a disposizione dalla label che, oltretutto, invitò una piccola audience all’evento per creare un po’ di atmosfera. In realtà Rob, molto critico con sé stesso, riteneva che la registrazione non fosse rappresentativa del gruppo ed il pubblico invitato non riusciva a trasmettere secondo lui le giuste vibrazioni. Ovviamente non posso avere un’esatta idea di cosa fossero in realtà i MacKenzie Theory al massimo del loro splendore ma la musica che questo album offre è decisamente sorprendente. L’atmosfera un po’ gelida del live in studio si percepisce distintamente ed i timidi applausi fra un brano e l’altro non contribuiscono a scaldarla più di tanto ma date tempo alla musica di decollare e questa vi travolgerà. Queste sei tracce rappresentano nel loro insieme un mosaico fluido di suoni ed emozioni, adrenalina, entusiasmo e sfrontatezza in cui si riescono a leggere le influenze dei primi Caravan, come anche di Flock, King Crimson e Mahavishnu Orchestra. Lo stile stesso di MacKenzie è stato paragonato non a caso a quello di McLaughlin, o anche a quello di Santana, per l’agilità, il calore e la naturale attitudine verso l’improvvisazione. La sua irrequietezza è tale che Rob sembra quasi che si divincoli continuamente per sfuggire alle maglie della canzone, mutabile e nervoso, trovando il complice perfetto nella viola di Cleis con la quale si ritrova strettamente intrecciato fra un duello e l’altro. “Extra Terrestrial Boogie”, la traccia di apertura, sembra davvero qualcosa di un altro mondo, una sorta di cavalcata sporca, accattivante e brillante, dalle striature blues elettriche e dominata dalla viola stridente. “O” si apre invece pigra e serpeggiante, con i suoi ampi spazi sonori, i sentori caldi ed acidi, le lente accelerazioni prive di scosse, la pura estasi della chitarra e della viola, le derive allucinogene e gli echi Floydiani. Ma il brano di punta del disco è forse rappresentato dalla centrale e lunga “New Song”, con i suoi undici minuti e mezzo di durata. In partenza ecco dei suoni molto diradati ed indugianti, con la viola misteriosa che fa da innesco ad un groove magnetico e sinuoso. L’aria si carica presto di elettricità e gli spartiti si complicano in un’estasi di note, e via verso nuovi scenari disegnati dalla viola lunatica che si concede qualche fraseggio classicheggiante, oscuro e drammatico. Altrettanto bella è la breve “Out of the blue”, energica, dirompente, con riff di chitarra taglienti, a dimostrare che il gruppo è capace di compattare le idee in modo efficace. L’intero album brilla per la sua bellezza ruvida ed incolta, per le soluzioni che a volte sembrano approssimative ma che in fin dei conti risultano sempre convincenti, disinvolte, spontanee, graffianti e quasi uniche nel loro genere. Per questo direi che vale la pena (ri)scoprire questo album che ci trasmette forse una visione parziale dei MacKenzie Theory, ma senza dubbio interessante.
Nel Settembre del 1973 il gruppo subisce un rimaneggiamento con l’ingresso di Paul `Sheepdog' Wheeler degli Aztecs che rimpiazza Leadabrand, del batterista Greg Sheehan che entra al posto di Majewski e l’arrivo di Peter Jones al piano elettrico. L’anno successivo Rob divenne uno dei primi artisti rock ad essere premiati dall’Australian Council for the Arts e fu così che il chitarrista decise di andarsene in Inghilterra assieme a Cleis, segnando di fatto la fine della band. La Mushroom programmò un concerto di addio per il 15 Maggio del 1974 al Dallas Brooks Hall di Melbourne ma il gruppo, come al solito, non fu contento del risultato, tanto che si fece promettere dall’etichetta che non avrebbe mai pubblicato quei nastri. La Mushroom aspettò però che i due se ne fossero andati e pubblicò parte del concerto nell’album che, ironia della sorte, intitolò “Bon Voyage”.
Questa ristampa è la prima rimasterizzata su CD. Quella realizzata dalla stessa Mushroom nel 1993 era infatti una brutale trasposizione in digitale dal formato analogico, dai suoni piatti e poco dinamici. A completare l’opera è stata aggiunta come bonus la già citata "New Song And" che ci mostra il gruppo nella sua fase più embrionale, permettendoci di apprezzarne la crescita rispetto alla veste più matura che traspare nel disco di esordio vero e proprio. A corredo della bella confezione cartonata c’è poi un booklet corposo con ricche note biografiche, guida molto utile per fare uno splendido balzo indietro nel tempo.


Bookmark and Share

 

Jessica Attene

Italian
English