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MINOR GIANT On the road Festival Music 2014 NL

Non bastavano i cliché del vecchio prog dei Seventies, al giorno d’oggi dobbiamo fare i conti anche con quelli del prog moderno e se vuoi cucirti addosso il disco che fa per te, che piace tanto ai giovani amanti della melodia, dei suoni sgargianti, con belle dosi di tastiere con tanto di finto Mellotron e magari un bel concept a infiocchettare il tutto, non hai che da scegliere il tuo modello e Neal Morse, i Transatlantic o gli Spock’s illumineranno il cammino di musicisti zelanti e bravini con gli strumenti, che non dovranno fare altro che calcare coi loro piedi le impronte lasciate da altri, che a loro volta seguono sentieri di seconda mano, pur con qualche variante. Ma qui, signori, siamo in Olanda e questo è il paradiso artificiale dei musicisti di questo tipo che, fra buone dosi di melodia e clonazioni, hanno persino un invidiabile zoccolo duro di seguaci per le loro serate. Non c’è nulla di male, intendiamoci, e se si vuole andare sul sicuro, sapendo cosa aspettarsi, si può anche comprare questo bel debutto discografico che mette addirittura di buon umore, per come è fatto bene, fortemente raccomandato agli amanti del prog potente e melodico e che parla delle differenti strade che la gente può percorrere nella vita.
Con una bella coppia di tastieristi, Rindert Lammers e Jos Heijmans, una sezione ritmica precisa ed affidabile, composta dal bassista Harry den Hartog (ex PBII) e dal batterista Roy Post, e con un cantante, Jordi Repkes, che suona anche la chitarra (così dovendo fare bene una cosa si limiterà con l’altra... che tanto ci sono due tastiere), i Minor Giant hanno fatto bene i loro conti. Il loro è un prog sgargiante e patinato, melodico al punto giusto e con arrangiamenti tastieristici rigogliosi ma non eccessivi, così da rimanere a portata di mano anche per i poveri di orecchie. I disegni melodici sono la chiave di tutto: sono sempre ampi, ben tratteggiati e spesso vengono riproposti, con qualche variante, da diversi strumenti, come se il gruppo volesse in qualche modo farci assuefare ad essi rendendoceli a tutti i costi familiari. Il mood è prevalentemente rilassato, sereno, a volte anche solare, e in generale prevalgono sempre le sensazioni positive, fatto questo che concorre a ricordarmi Neal Morse. Il pianoforte entra molto spesso negli arrangiamenti ed è anche lo strumento prediletto nell’accompagnare la voce di Jordi, non particolarmente dotata, a dire il vero, ma sicuramente adatta alla proposta musicale e con uno stile che mi riporta ancora all’appena citato Morse. Non a caso, credo, il gruppo si è affidato ad un ex membro della Morse band, Collin Leijenaar, per la sola registrazione delle parti vocali.
Sono molti i momenti in cui le canzoni assumono la fisionomia della ballad, specie nella porzione centrale dell’album, che è quella più stagnante, e in questo caso gli strumenti si ritirano lasciando al centro un cantato non incisivo ma di grande atmosfera. Vi sono anche lunghi passaggi strumentali con assoli di Moog che a volte richiamano i Pendragon, o di chitarra (non troppa), e tastiere ariose sullo sfondo con soffici registri di Mellotron, ma questi si susseguono come tante cartoline che ritraggono scenari diversi, passate in rassegna una ad una, con molta calma, senza complicarsi troppo la vita. Accade così nella lunga traccia di chiusura, “The Last Road” (15 minuti in tutto), in cui le tastiere, grandiose e sfavillanti, ci danno l’ottimistica impressione del lieto fine.
La traccia di apertura, “On the Road” (e anche qui abbiamo un pezzo abbastanza lungo, di 12 minuti), è fra quelle più movimentate ed elaborate ma bisogna dire che non vi sono mai troppe sovrapposizioni o contrasti e le idee ci vengono proposte quasi sempre una alla volta… hai visto mai che il nostro cervello si dovesse affaticare troppo? Anche “Dream With Eyes Wide Open“ ci offre momenti strumentali abbastanza slegati fra loro ma in questo caso, a dire il vero, si tratta a tutti gli effetti di una mini suite composta da ben tre movimenti con passaggi rilassati controbilanciati finalmente da qualcosa di appena più complesso.
La resa sonora è infine ottimale, fattore questo non di poco conto per una musica così d’atmosfera, grazie sicuramente all’apporto di Gerben Klazinga dei Knight Area, gruppo che non a torto può essere chiamato in causa nella sfera delle influenze di questi giovani esordienti. Nella vita si possono percorrere diverse strade ed i Minor Giant hanno scelto i sentieri già battuti del prog moderno, impegnandosi molto per consegnarci un lavoro di discreto livello, ricordate però che, nel lungo percorso, si è sempre in tempo a cambiare la strada che stiamo percorrendo, come recita una famosa canzone…


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Jessica Attene

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