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MODEST MIDGET Crysis Multi-Polar Music 2014 NL

Questo album si ispira alla crisi, vista come punto di rottura ma anche di possibile svolta e quindi come opportunità. Un’occasione che può accompagnare esperienze dolorose ma che può rappresentare anche un momento di evoluzione e di crescita, basta prendere le cose per il verso giusto, accettando il fatto che la vita è fatta di cicli che prima o poi volgono al termine e che in qualche modo bisogna ripartire, anche cambiando strada. Chissà cosa porterà questo secondo album in studio al gruppo olandese capitanato dal polistrumentista Lonny Ziblat? A chi lo ascolta porterà di sicuro intrattenimento e buon umore, con le sue canzoni dirette, ben suonate e a volte stravaganti. La scelta, come è avvenuto per “The Great Prophecy of a Small Man”, l’esordio del 2009, è stata quella di inanellare brani leggeri ed eclettici (dodici in tutto), in cui il Progressive Rock è soltanto uno dei tanti elementi in gioco. Nel fare ciò Lonny ha spesso scelto formule divertenti, ritornelli cantabili, buone dosi di ironia, non disdegnando affatto di addentrarsi in territori pop, salvo poi ricredersi e buttarsi a capofitto in arrangiamenti più aggrovigliati. Non stupitevi quindi se nel mezzo dell’album troverete una buffa cover di “Pretty Woman” in versione ska, diversivo comico sul quale potete benissimo sorvolare senza grossi patemi d’animo, se volete, e non storcete il naso se “Rocky Valleys of Dawn”, una specie di party-song allegra e tirata, vi ricorderà un po’ quel neo-punk sguaiato e melodico che ha fatto la fortuna dei Green Day. Sono solo episodi di un album multicolore.
Più che i Genesis o i Gentle Giant, che pure a tratti sembrano fare capolino, è stato dato spazio a influenze che ci portano al Bowie di “Ziggy Stardust”, ai Queen, ai Supertramp o anche ai Kestrel, tanto per scovare un riferimento più “esotico”. Se “Praise the Day” è una semplice ballad con archi delicati sullo sfondo, se “Periscope Bar”, lineare e molto piatta, mostra atmosfere da piano bar un po’ anni Ottanta, se “Gone Is” non è altro che un brano pop melodico che scorre senza sussulti, sulla scia di un cantato monotono abbellito da sonorità soffici, e “Birth” si muove su territori AOR cari ai Boston, con melodie mielose che non godono di grosse variazioni; a fare da contrappeso troviamo canzoni multiformi come “A Centurion’s Itchy Belly”, che si apre con belle tastiere sinfoniche per poi trasformarsi in qualcosa di cabarettistico e folkish. “Now That We’re Here” stupisce per i suoi accostamenti un po’ strani, con siparietti un po’ alla Yezda Urfa e gli intermezzi sinfonici un po’ New Prog. Allo stesso modo lo strumentale “Flight of the Cockroach” è un carrozzone di stravaganze e goliardate con pasticci sinfonici e trovate circensi, il tutto viaggiante ad un serrato ritmo di marcia. Ma la punta di diamante dell’album è secondo me la title track che, con soli sette minuti e passa di durata, conquista anche la palma di pezzo più lungo dell’album. Il brano, con un incipit teatrale, presenta il solito cantato monocorde ed un po’ ossessionante e sfoggia delle suggestive aperture orchestrali con melodie intriganti e sinistre, ora disegnate dal piano e ora ripercorse da oboe, flauto e sax con un effetto complessivo che mi ha fatto pensare un po’ agli americani Discipline.
Sicuramente Lonny ha i mezzi e la bravura per scrivere pezzi sopra le righe, per distinguersi e lasciarci tutti di stucco ma evidentemente la sua vocazione è un’altra e preferisce soluzioni più immediate e d’impatto. Il problema, se di problema si può parlare, in fin dei conti, è che, nel seguire troppe strade diverse, forse si rischia di perdere un po’ della propria identità e si finisce per confondere un po’ troppo il gentile pubblico. Personalmente avrei preferito un livellamento in alto ma ciò non toglie però che alcuni ascoltatori possano gradire canzoni particolari, ben arrangiate e divertenti, come quelle che appunto si trovano in questo album. Magari questo disco è il punto di svolta dei Modest Midget o magari lo è proprio per gli ascoltatori. Vedremo.


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Jessica Attene

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