Home
 
MARTIGAN Distant monsters Progressive Promotion Records 2015 GER

Dopo sei anni tornano i tedeschi Martigan, con un quinto album che prende come punto di ispirazione le statue dei vari mostri di pietra sparsi per il mondo. New-prog sinfonico, che oltre ai Marillion guarda un po’ a tutto il genere nel suo incedere tipicamente britannico, chiamando quindi in causa modelli come gli IQ, Pendragon, Jadis, Pallas, ecc… Il gruppo di Colonia, per chi ama usufruire del (sotto)genere in questione, è migliorato album dopo album, tanto da destare consensi più che lusinghieri con il precedente “Vision” (2009). Quello di prendersi molti anni tra un lavoro e l’altro sembra essere ormai una costante; la pubblicazione per la connazionale PPR oggi indica a priori la scelta di proporre tematiche complesse, in un modo o nell’altro legate da un (seppur tenue) filo conduttore, sfruttando una veste grafica molto raffinata. Occorre però stare attenti ai contenuti, che non sempre denotano il medesimo spessore che legittimamente ci si aspetterebbe. Beh, se l’ascoltatore ha apprezzato i precedenti lavori, vuol dire che sarà amante di quel sound tipico del “nuovo” prog anni ’80, che ricordava principalmente i Genesis. E quindi si apprezzerà anche quest’ultima uscita. Lo si potrà leggere ovunque: la voce di Kai Marckwordt ricorda Peter Gabriel, Phil Collins ma anche e soprattutto Fish. Per qualcuno sarà il tripudio, una garanzia d’acquisto, per altri sarà indisponente fin dal principio. C’è comunque da dire che il vocalist tedesco non tende a strafare e porta avanti il proprio ruolo con professionalità, rimanendo sempre nei ranghi. Buono il lavoro ritmico, soprattutto del batterista Alex Bisch, ricordando che su quest’album è subentrato il nuovo bassista Mario Koch. Per il resto, la band del tastierista Oliver Rebhan (maggiormente convincente al pianoforte) viaggia sul sicuro, non mettendo mai in gioco idee che possano consistere in un azzardo. Un lavoro professionale, che inserisce con sapienza ogni tassello al proprio posto, non disdegnando certo gli stereotipi. Tra questi – per fortuna! – vi sono anche gli spazi strumentali che in perfetto stile new-prog devono dare “aria” ai pezzi. Si dimostra quindi basilare l’apporto del chitarrista Björn Bisch, i cui ottimi assoli fanno alzare in maniera esponenziale il livello delle composizioni.
I riferimenti ai Marillion risultano i momenti migliori, come nei dodici misteriosi minuti dell’iniziale “Theodor’s Walls” o magari gli abbondanti quattordici di “The Lake”. Anche qui è la parte strumentale a destare migliore impressione (ma non certo per mancanze imputabili al cantante; semplicemente si tratta di una struttura del brano concepita meglio), con le volate incisive di synth finali. In tanti citano la conclusiva “Take Me or Leave Me” come brano migliore, ma bisognerebbe piuttosto parlare di “Simplicius”, pezzo già presente sul primo “Stolzenbach” (1995) e qui opportunamente riadattato. Una canzone molto introspettiva, dilatata, con un assolo sulle sei corde eseguito con raffinato mestiere.
Si ribadisce quanto detto nel corso della recensione: se si amano i parametri sopra esposti e ci si identifica come degli inguaribili romantici di un preciso ambito musicale, allora piacerà anche questo album. Altrimenti, si sbadiglierà molte volte e si andrà costantemente avanti con il relativo pulsante.



Bookmark and Share

 

Michele Merenda

Collegamenti ad altre recensioni

MARTIGAN Man of the moment 2002 
MARTIGAN Vision 2009 

Italian
English