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METAPHYSICAL ANIMATION Metaphysical Animation autoprod. 1973 (Black Widow Records 2019) USA

Parlando di bestie nere dei collezionisti, questo titolo saltava fuori spesso. I Metaphysical Animation, band nata in Florida nella grande ondata di rock blues psichedelico del 1968, arrivarono ad incidere il loro album solo nel 1973. La stampa, a tiratura limitatissima, arrivò sul mercato con una cinquantina di copie, prevalentemente acquistate ai concerti della band. Ancora oggi chi riesce a metterlo in vendita spara cifre che superano anche i 6.000 euro/dollari.
La band si formò attorno a due figure importanti e carismatiche, Alberto de Almar, chitarrista e Bill Sabella, tastierista e cantate. Nel disco erano presenti anche Steve Margolis al basso e Robbie Hansen alla batteria.
Arrivati in epoche davvero più recenti, grazie all’interessamento Mauro Degrassi e ai contatti intrapresi prima dallo stesso e poi da Pino Pintabona di Black Widow, entrambi attivissimi nello scovare chicche sperdute come questa, ecco uscire fuori il chitarrista Alberto de Almar, che ora vive in Spagna e le tracce da ripulire e digitalizzare, lavoro un’altra volta abilmente svolto dal Degrassi.
Fatto il preambolo d’obbligo, tentiamo di collocare storicamente questo lavoro e partiamo con il domandarci cosa fosse il progressive rock nel 1973 negli USA. Dopo che alcune band tentarono di porre le basi di indirizzo progressive a partire dai tardi anni ’60 e fino al 1970 incluso, ci fu un chiaro scollamento tra la richiesta del mercato e la proposta musicale delle band: il progressive negli USA interessava pochissimo e fatta eccezione per chi univa un’idea progressiva al jazz rock, sembrava non esserci spazio per sinfonismi, trame complesse, cascate di tastiere e testi immaginifici da seguire. In sostanza l’idea di fare progressive negli States intorno al 1972 – 1973 era una scelta azzardata, estremamente underground e foriera di bassissime notorietà e vendita, nonostante le chiare e decise qualità musicali di moltissime proposte. Una più concreta ripartenza ci fu dagli anni successivi, nei quali saltarono fuori nomi come Kansas, Mirthrandir, Yezda Urfa ecc. e che comunque, Kansas a parte, rimasero nell’oscurità per molto tempo. Scelta quindi controcorrente, tanto che non è neppure dato noto di quanti gruppi non siano neppure arrivati ad incidere oppure defunti per sempre dopo la prima e unica incisione.
Torniamo quindi all’avventura controcorrente dei Metaphysical Animation e al loro disco. Otto brani per un’ora abbondante di musica ben radicata nella sua epoca e una proposta molto ricca nella quale troviamo riferimenti prevalenti negli Yes e, in parte agli Emerson, Lake and Palmer, ma non bisogna trascurare ampi momenti jazz rock e blues rock, forse più presenti nelle corde di Almar che nei tasti di Sabella, decisamente più indirizzato ad inserire classicismi e con uno stille che spesso richiama John Lord quando suona e David Byron quanto canta.
I brani sono tutti molto vari tra loro e anche all’interno delle singole tracce. Spesso c’è notevole divario tra le parti di avvio e gli sviluppi successivi e questo fa ricadere negli stilemi più tipici del progressive.
Esemplare il brano di apertura “Two songs in space” oltre nove minuti di girandole e assolo e, tanto per ribadire l’amore verso la musica inglese, ecco uscire una citazione beatlesiana con il tema di “Norwegian Wood” tra le note dell’assolo di chitarra e tra momenti yessiani e altri di indirizzo space rock. Notevoli anche gli altri due brani lunghi “Empyreal souls” dallo splendido avvio space e psichedelico con tastiere in grande esposizione, sezione jazz rock e una commistione che non lo allontana troppo da certe soluzioni canterburyane e “Better way” più pacata nello sviluppo tra atmosfere jazzy e aperture di tastiere.
Nel corso del disco si presentano, a dimostrazione di grande tecnica strumentale degli ottimo assolo sia di tastiere “Paper people”, “Better way” e soprattutto “You’re the guru”, sia di chitarra “Empyreal souls” e “Two songs in space” in particolar modo.
Il breve drum solo di “You’re the guru”, brano che viaggia dal funk iniziale al notevolissimo break tastieristico ondeggiante tra blues e jazz, ci porta alla conclusione del disco.
Disco che non posso far altro che consigliare e spingere al massimo: quando ci capiterà un altro lavoro di qualità, sconosciuto e recuperato direttamente dagli anni d’oro?



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Roberto Vanali

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