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NEVERNESS The measure of time Musea 2009 SPA

Terza produzione per questo gruppo spagnolo che a differenza dei lavori precedenti, in questo “The Measure of time” presenta sei composizioni cantate in lingua inglese e abbastanza diverse per genere a quello che di solito ci propone il mondo del rock progressive iberico.
Il gruppo nella sua storia ha dimostrato una piccola evoluzione nei suoni e, in questo ultima produzione, la formazione iberica raggiunge un perfetto equilibrio tra omaggio ai classici del rock progressive e una via sonora personale (seppur timida). Il risultato che ne viene fuori è veramente gradevole perché il disco si fa amare sempre di più ogni volta che si mette nel lettore.
Le influenze crimsoniane e floydiane nelle sei composizioni sono molto evidenti e vengono arricchite da ottime performance sia alle tastiere sia alla chitarra elettrica ritagliandosi spazi convincenti in tutti i brani senza mai rischiare di pestarsi i piedi tra loro in fase di assolo.
E’ difficile trovare al giorno d’oggi lavori dove crossover non significhi per forza sconfinare nel punk, nel metal più strambo o in altre cose che esulano dal mondo del rock progressive, questo “The measure of time”, infatti, riesce a non assomigliare a nulla avendo comunque come riferimenti i grandi classici del rock progressive.
Già dagli undici minuti del pezzo d’apertura (“Behind your face”) la filosofia musicale del gruppo appare ben delineata. La psichedelia dei Pink Floyd, la sperimentazione che va ad esplorare territori che gli estimatori della seconda formazione del re cremisi apprezzeranno sicuramente vanno a braccetto e vengono inpacchettati con una carta regalo che il miglior Neal Morse di spocksbeardiana memoria non saprebbe confezionare.
Tutti i sei brani comunque hanno degli aspetti interessanti e degni di nota, non disdegnando mai l’aspetto melodico anche nei momenti, musicalmente parlando, meno accessibili.
Pensiamo ad una “Reign on fool” dove il lavoro della chitarra spazia da momenti gilmouriani ad altri che non sfigurerebbero in un disco di rock alternativo o alla bellissima “Rest in pieces” dove agli elementi precedenti si aggiunge nella parte iniziale un pianoforte che arricchisce ancora di più il raggio d’azione di un brano che ha nel finale il momento più bello del disco grazie a cambi di tempo, ritmiche tirarissime e tappeti di tastiere.
I Neverness sono riusciti a sintetizzare quaranta e passa anni di rock progressive in un solo lavoro, senza lasciare spazio a momenti malinconici e smaccatamente di tributo, perché questo “The Measure of time” suona come un disco che si va ad incastrare perfettamente in questo mosaico musicale che è la musica degli anni 2000.
Un ottimo lavoro per una band che dimostra che si possono amare i classici e si può suonare prendendo spunto dagli anni settanta, senza per questo non rinunciare ad una propria personalità e alle proprie idee musicali.
Un disco veramente carino da ricordare in questo 2009 dalle uscite non sempre all’altezza della situazione.


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Antonio Piacentini

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