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OSSI DURI L'ultimo dei miei cani Electromantic 2005 ITA

Sesta produzione discografica per questa giovane band torinese attiva sin dall’inizio degli anni ’90, ma secondo album di durata piena a giovare di una distribuzione se non capillare quantomeno efficace. Impossibile scindere il nome degli Ossi Duri da quello del loro maestro e supremo ispiratore Frank Zappa: il loro ultimo album “X” era infarcito di cover ed ospiti illustri dell’universo zappiano (Ike Willis, Mike Keneally, Murphy Brock solo per citarne alcuni), per non parlare della partecipazione al tredicesimo festival Zappanale in Germania ed alla presenza dei nostri in varie compilation-tributo al genio di Baltimora.
Con questo disco i cinque ragazzi compiono il grande salto e si affrancano dal repertorio di Zappa per proporre – probabilmente stufi di essere considerati erroneamente alla stregua di una cover band – esclusivamente brani originali, sia pure permeati da una vena umoristica ed un’incontenibile verve strumentale figlie entrambe della lezione del grande dissacratore baffuto.
La scelta di scrivere testi divertenti ed ironici, conditi da giochi di parole dal sapore cabarettistico e lo strampalato calderone dei generi musicali che confluiscono nelle loro canzoni (fosse anche solo per citazioni di pochi secondi) rivela similitudini con i padri del rock umoristico italiano: ovviamente parlo di Elio e le Storie Tese, con cui gli Ossi hanno condiviso l’esperienza discografica di “Gnam Gnam”. E’ difficile infatti scorrendo la tracklist e leggendo titoli come “Lo spirito del panda” o “Siga fecca” non pensare alla stralunata fantasia di Elio & co. e l’impressione è confermata già dall’ascolto delle prime tracce… non a caso il loro tastierista Rocco Tanica è ospite al piano in una manciata di brani. Luoghi comuni, nevrosi, grottesche fissazioni… tutto trattato in modo più che goliardico, con parti vocali spesso ad interpretare dialoghi e ruoli: solo raramente si può parlare di pezzi realmente cantati.
Passiamo alla musica… devo essere sincero: un album di questo tipo - dopo il divertimento dei primi ascolti - potrebbe alla lunga annoiarmi facilmente, un po’ come quando i miei amici mi trascinarono di nuovo allo stesso spettacolo teatrale di uno stesso famoso comico ed ormai conoscevo a memoria tutte le battute. Per fortuna i nostri Ossi Duri (un quintetto guidato dai fratelli/cugini Bellavia, con chitarra, tastiere, basso, marimba, batteria e numerosi ospiti ai fiati, alla fisarmonica, violino, didjeridoo ed altro) hanno talento da vendere come esecutori ed un gusto raffinato per composizioni spesso sconfinanti in una rock-fusion di stampo americano.
E’ proprio nelle sezioni strumentali che finalmente possiamo apprezzare la loro indubbia maturità artistica: la title-track in chiusura e “Le pene di Diogene” sono illuminanti esempi in tal senso, con tempi complessi e frammentati, corroboranti interventi di sax e clarinetto ed un ruolo non certo secondario della marimba.
Un album sicuramente piacevole, egualmente diviso tra un disimpegnato umorismo ed un serio tentativo in direzione di un crossover musicale tra rock, jazz, funky e… tutto ciò che resta! E’ progressive? Se per voi l’aggettivo non è sinonimo di seriosità, probabilmente sì.

 

Mauro Ranchicchio

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