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ORCHESTRA PANICA Journey to devotion Lizard Records 2010 ITA

La ricetta del giorno prevede i seguenti ingredienti: il minimalismo e le reiterazioni eredi degli studi di Steve Reich e Terry Riley, i corrieri cosmici del versante elettronico, l’ambient di scuola Djam Karet, il Miles Davis post “Bitches brew” (più specificamente quello di “Big fun” e “Get up with it”), certe cadenze lente del post-rock, più il giusto pizzico di sperimentazione. Il risultato finale? Be’, qui entra in gioco la bravura del cuoco, perché ci vuole abilità, perizia, esperienza, inventiva e acume, doti che messe insieme eviterebbero di creare pasticci assurdi e piatti indigeribili. Ma all’opera, per l’occasione, c’è Luca Vicenzi, che il suo talento lo ha già abbondantemente dimostrato con gli Zita Ensemble, gruppo autore di tre ottimi album ed una delle più brillanti realtà italiane della prima decade del nuovo millennio. Stavolta il chitarrista-compositore, per elaborare al meglio gli ingredienti succitati, mette in scena l’Orchestra Panica (il surrealismo di Jodorowsky vi dice niente?) insieme a Francesco Agostoni (voce, tastiere, sintetizzatori), facendosi dare una mano anche da altri collaboratori alle prese con tromba, vibrafono, percussioni varie, contrabbasso, basso e batteria. Analizzando il contenuto del cd si potrebbe parlare di una proposta ambient, che vede il suo punto forte nelle atmosfere allo stesso tempo oniriche e conturbanti create dai musicisti, che, però, riescono ad arricchire la musica di tantissimi minuziosi particolari che rende “Journey to devotion” un lavoro davvero unico ed esemplare. D’altra parte, se le fonti di ispirazione sono così molteplici e rispondono a nomi quali Steve Reich, Terry Riley, Lamonte Young, Philip Glass, Miles Davis, Brian Eno, Klaus Schulze, King Crimson, Tortoise, ecc., si capisce che qui c’è davvero ben poco di catalogabile e, similmente a quanto successo con gli Zita Ensemble, questa caratteristica per l’album in questione è un enorme bene. Perché dagli artisti citati il compositore ha preso sì spunto, ma comunque per portare avanti un discorso che abbia vita propria e qui di personalità ce n’è davvero tanta! E se pensate a un disco monotono, toglietevelo dalla testa, perché le composizioni, spesso molto lunghe, pur contenendo alcune caratteristiche tra loops, certe ossessività e temi ripetuti, presentano sempre dinamiche particolari ed una varietà di suoni e colori che regalano sorprese in continuazione. Un grandissimo esempio di musica contemporanea e senza confini e un nuovo saggio di bravura ad opera di Luca Vicenzi, che conferma sempre più di meritare di essere annoverato tra i musicisti più aperti, talentuosi, professionali e propositivi ammirati nell’ambiente del prog italiano dell’ultimo decennio.


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Peppe Di Spirito

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