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ORGIA PRAVEDNIKOV For those who see dreams, Vol. 1 Electroshock Records 2010 RUS

Vi ho già parlato degli Orgia Pravednikov in occasione dell’uscita del loro precedente album, “Ukhodyashchee solntse”, nel 2007. Questo nuovo lavoro mi offre l’occasione di rilanciare l’invito a conoscerli, visto che finalmente la band può contare su una distribuzione più ampia grazie ad una etichetta intraprendente e aperta al mercato internazionale come la Electroshock di Artemiy Artemiev ma anche perchè questa volta l’album è corredato da un voluminoso booklet con la traduzione in inglese di tutti i testi, cosa non da poco, visto che le liriche ed in generale le parti cantate svolgono un ruolo molto importante nelle loro opere. Ancora di più rispetto al precedente lavoro questo disco è diretto ad un pubblico prog-metal più che prog in senso stretto, anche se la band ancora una volta manifesta una propria forte individualità che la porta assai lontano rispetto alle band appartenenti a questo filone che siamo abituati ad ascoltare da queste parti. Il quid in più sta sicuramente nella voce di Sergey Kalugin con il suo stile cantautoriale che rievoca il carisma di un grande come Boris Grebenshchikov, il noto cantante degli Aqvarium (gruppo icona del rock russo) e sta anche nell’inserimento di numerose sequenze arpeggiate alla chitarra acustica con la quale il nostro bardo costantemente si accompagna. Questi elementi vengono inseriti in un contesto sonoro molto articolato e sono perfettamente incastonati in una architettura fatta di riff e suoni pesanti e numerose orchestrazioni, elaborate grazie ad una ricca schiera di strumenti. Sparsi qua e là nelle varie canzoni, che sono piene zeppe di note e particolari, come un gioco complesso di scatole cinesi, troviamo poi vaghi riferimenti ad elementi folk anche non tipicamente russi. Ad esempio in “Doctrine of Wisdom” viene inserito un motivo tradizionale tedesco che si integra perfettamente nello spirito scanzonato del pezzo che sembra quasi un canto da Oktoberfest… e non a caso il testo è una specie di monito a chi fa delle bevute una specie di credo. In generale il sound si è un po’ indurito ed in particolare i primi due pezzi, che comprendono la traccia appena citata, sono molto elettrici e pesanti. L’apertura, affidata a “Hymn”, viene affidata alla voce teatrale ed ispirata di Kalugin accompagnato dalla sua brava chitarra acustica e da un flauto leggero ma presto ecco una valanga di riff serrati che avanzano come in una cavalcata trionfale su una ritmica power. Intrecciati a questa solida impalcatura troviamo svolazzi di flauto, fiati e la consueta chitarra acustica arpeggiata. La porzione composta dalle 6 tracce centrali si ammorbidisce leggermente e lascia più spazio ad i particolari e alle rifiniture che emergono in maniera rigogliosa. Il pezzo più soft è rappresentato da “White on white”, una vera e propria ballad ricamata da belle parti di flauto, archi e da assoli di chitarra molto discorsivi. Mi piace poi citare “Fire and I” con le sue tastiere ariose e con una sequenza finale bandistica a sorpresa con sax, tromba e trombone. Con “Skimen” i suoni si fanno nuovamente aggressivi ma anche più complessi. L’apertura è affidata ad uno splendido assolo di violoncello che non lascia minimamente immaginare il growl feroce di Artemy Bondarenko che irrompe poco dopo. Mentre le chitarre tuonano sullo sfondo il violoncello continuo armonioso il suo cammino e sullo sfondo si percepisce anche un pianoforte aggraziato ad accentuare i contrasti fra le chitarre fragorose ma precise e compatte, la violenza del cantato e la grazia degli strumenti classici. La traccia di chiusura, “Ahead and up”, è qualcosa di epico. I suoni sono ancora una volta potenti ma vengono stemperati da belle sequenze orchestrali classicheggianti e soprattutto dal cantato teatrale di Kalugin che attira inevitabilmente su di sé l’attenzione. Numerosi sono i riferimenti colti, le citazioni e anche i richiami alle sacre scritture. Non a caso la musica stessa nella sua furia pagana sembra offrire in più punti degli spunti dal sapore liturgico che si inseriscono splendidamente in un insieme musicale unico. A conclusione di tutto questo bisogna dire che il lavoro di produzione è impeccabile, grazie anche al tocco dell’ingegnere del suono Yuri Bogdanov, meglio noto per aver suonato nel gruppo del grande Edward Artemiev. Se non pensate che un sound duro e potente possa essere per voi un buon motivo per ignorare questo disco o meglio se siete stanchi di tante prog metal band che offrono ormai prodotti standardizzati e fini a sé stessi vi consiglio caldamente di avvicinarvi a questa band dal sound moderno, dinamico ed anche originale.


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Jessica Attene

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