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OSANNA Palepolitana Afrakà 2015 ITA

Fuje a chistu paese” cantava Lino Vairetti nel 1973, nel capolavoro “Palepoli”. Quarantadue anni dopo il leader degli Osanna decide di dedicare un nuovo disco alla sua città. Stavolta, però, è un vero e proprio atto d’amore. Puro, incondizionato, sincero, viscerale. I tempi sono cambiati, Napoli resta una meraviglia con i suoi difetti, ma, specie negli ultimi anni, mass-media e artisti sembrano aver voluto mettere in risalto più i lati oscuri e le brutture del capoluogo campano che non altro. Lino vuole porre rimedio a tutto ciò, vuole ricordare che Napoli è ben diversa da quel mix di degrado, immondizia e camorra che purtroppo sembra essere l’immagine (completamente erronea) che ne vien fuori più spesso. Così, con i suoi Osanna, punta più che mai ad esaltare quelle che sono le innumerevoli bellezze di Napoli e, come ha specificato con estrema chiarezza durante la presentazione del disco, oggi non ha minimamente voglia di fuggire dal suo “paese”, ma vuole fortemente restarci, invitando i suoi concittadini a fare altrettanto.
Lino ci racconta così una storia e attraverso le avventure di un personaggio per metà umano e per metà androide, che dagli scogli di Megaride si rifugia nella metropolitana della città del nuovo millennio, descrive la Napoli dell’arte, della cultura e delle numerose personalità di spicco che hanno visto i natali qui, delle tradizioni antiche, dei “mille colori” cari anche a Pino Daniele, dei paesaggi incantevoli e del calore della sua gente.
“Palepolitana” inizia in maniera suggestiva, tra le onde del mare ed un’introduzione musicale di grande atmosfera, intitolata “Marmi”, alla quale fa seguito “Fenesta vascia”, canzone basata su un testo napoletano del ‘500, pregna di romanticismo, con melodie incantevoli ed un delicato suono acustico. Anche la successiva “Michelemma’” prende spunto da un anonimo (stavolta del ‘600, anche se è attribuita a Salvator Rosa), ma c’è un netto cambio musicale: i ritmi si fanno vivacissimi, il sound diventa elettrico, la chitarra più vibrante e viene proposto un rock trascinante e allegro che unisce tradizione locale e sonorità a cui gli Osanna ci hanno abituato fin dagli anni ’70. Si continua su questa falsa riga con “Santa Lucia” e la chitarra elettrica di Pako Capobianco si ritaglia spazi importanti, macinando riff su riff e regalando assoli incandescenti. E ancora, ci sono il pop-rock elegante di “Anni di piombo” e “Made in Japan”, l’hard rock intenso erede di “Taka boom” della title-track, l’omaggio alla musica classica con l’adattamento del celebre “Canone” di Pachelbel per “Canzone amara” (magicamente interpretata in duetto con Sophya Baccini e con l’accompagnamento di un quartetto d’archi), fino all’inno finale “Ciao Napoli”. Ci sono anche due brevi pezzi strumentali, uno per pianoforte (“Antotrain”) ed uno per chitarra (“Letizia”), entrambi molto eleganti ed eseguiti in maniera perfetta rispettivamente da Sasà Priore e da Capobianco. La chiusura dell’album è affidata alla struggente “Profughi”, che esula dal concept, ma che offre un forte tema di attualità con un incedere drammatico, abilmente cantato da Irvin Vairetti (figlio di Lino) e con le note degli archi e del pianoforte a rendere ancora più suggestivo l’andamento del brano.
In realtà non finisce qui, perché nella bellissima confezione vinyl replica c’è un altro cd contenente una nuova registrazione di “Palepoli”, il capolavoro cui facevamo cenno all’inizio. Nella riproposizione delle tre meravigliose composizioni del disco del 1973, “Oro caldo”, “Stanza città” e “Animale senza respiro” i musicisti rispecchiano abbastanza fedelmente gli arrangiamenti originali; inoltre, vengono inserite delle interessanti piccole parti inedite, anche se non aggiungono sostanzialmente molto a quanto già si conosceva. La cosa positiva è che con la grande pulizia sonora si possono cogliere meglio alcuni dettagli che restavano un po’ nascosti nella produzione poco brillante dell’epoca. Ed è ancora un piacere lasciarsi trascinare da quelle contaminazioni che da sempre rendono così unico e personale “Palepoli”, tra melodie indimenticabili, sfuriate elettriche, passaggi dissonanti, le urla del sax (suonato per l’occasione da David Jackson) e tanto altro da riscoprire.
Nei vari dischi del nuovo corso degli Osanna, dagli anni ’90 ad oggi, Vairetti e compagni avevano prediletto sempre riletture del materiale storico, concedendo pochi inediti inseriti qua e là. Stavolta siamo di fronte davvero a qualcosa di nuovo, che guarda contemporaneamente al passato e al presente e non esito a concludere affermando che considerando tutte le uscite dei gruppi storici negli anni recenti, “Palepolitana” merita di essere considerata una delle migliori in assoluto.
Da sempre Napoli fa cantare, fa sognare, fa pensare, fa innamorare. E la musica degli Osanna fa lo stesso, oggi come quaranta anni fa.


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Peppe Di Spirito

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