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ÖZ ÜRÜGÜLÜ Fashion and welfare Unit Records 2016 SVI

Questa meraviglia inaspettata giunge dalla vicina Svizzera… sebbene sia abbastanza complicato entrarne in possesso e personalmente sia quindi dovuto ricorrere a un mailorder americano. Il monicker in turco, che dovrebbe essere traducibile come “autosufficiente”, è già segno di un certo percorso mentale contorto e l’ascolto di queste 8 tracce non fa che aumentare questa sensazione. La band, che è un sestetto, è al suo secondo album (l’esordio "Forgotten Archives" è del 2012) ed è senza dubbio da annoverare tra gli epigoni zappiani e, tra questi, tra quelli di migliore riuscita, non solo nel riprendere le attitudini musicali del genio di Baltimora, ma anche nel saper spaziare tra vari generi ed atmosfere all’interno dello stesso album (della stessa canzone!) e conservare allo stesso tempo una leggerezza ed un’autoironia che diverte e sorprende di continuo. In quest’album si è capaci di passare repentinamente da un vibrante jazz/rock al black metal, da arabeschi mediorientali (con il saz, il tipico liuto turco, in bella evidenza) ad atmosfere free jazz o funky che sfociano in sfuriate thrash metal per poi riprendere le proprie mosse come niente fosse.
Nell’arco dei 57 minuti di “Fashion and welfare” la band ha tempo e possibilità in abbondanza per mostrarci di cosa e capace e le proprie molteplici influenze e non possiamo proprio esimerci da un’analisi dell’album traccia per traccia… o addirittura minuto per minuto! L’iniziale “Tarkatan Rush” comincia come un brillante pezzo di fusion leggerina e spensierata che vira di lì a poco in direzione di una sorta di disco music anni ’70, salvo immettersi, nella seconda metà del brano, in territori country (con effetti sonori di fattoria), pur sempre contaminati di fusion. Ecco… quasi 50 parole per una sintetica descrizione di un brano di 6 minuti… e siamo appena all’inizio!
“Android Mustache” inizia con una sorta di scherzo telefonico: un tal Carl King improvvisa una supercazzola con un call center che alla fine lo molla in attesa; divertente… ed esasperante. Il brano quindi parte in decisi territori zappiani funkeggianti che vengono incredibilmente e periodicamente inframmezzati da pesanti riff metal, per poi deviare verso sonorità che ci ricordano Guthrie Govan. “Odd Waltz” è quello che dice il nome, uno strambo valzer che inizia in sordina, con atmosfere quasi inquietanti, per prendere lentamente e buffamente corpo e forma, acquistando via via energia e cambiare pelle nella seconda parte (mica vorrai finire un pezzo così come lo hai iniziato…?!), con accenni di sonorità mediorientali, un lungo assolo di chitarra e ritmiche fusion.
“Rabbit” è il brano più breve di tutti, meno di 4 minuti, e si avvia con un’innocua e leggera fusion; tutto sembra procedere in modo lineare… dov’è l’inghippo? Qualche spunto cameristico fa da preludio alla seconda parte del brano, ove le accelerazioni raggiungono la parossistico concitazione della furia del black metal… salvo poi riprendere, pochi secondi dopo, le delicate sonorità di prima, come nulla fosse.
Al brano più breve si accoda quello più lungo, ovvero i 10 minuti di “I Am the Fungus” e già tremiamo al pensiero di cosa riusciranno ad inventarsi in tutto questo tempo. Inizio quasi elegiaco… un pianoforte che si intreccia col saz e poi via con un brano che ci porta direttamente sulle rive del Bosforo. Inquietanti schitarrate black ogni tanto fanno capolino, tanto per non farci stare tranquilli… ma poi il brano riprende le sue avvolgenti spirali mediorientali. La musica quasi sembra fermarsi, sulla parte centrale: rarefatti borbottii di basso fanno compagnia a un voluttuoso sax che prende sempre più confidenza e si produce in un lungo assolo, prima del ritorno alle atmosfere iniziali. Altri lunghi assoli, prima di pianoforte e poi di chitarra, caratterizzano questa seconda parte del brano, per terminare nel gran finale in cui le atmosfere mediorientali si stagliano sull’inquietante sottofondo metal per un connubio decisamente inconsueto.
In “RDA” torna la fusion leggera e spensierata, salvo (ci avreste scommesso?) dar spazio di lì a poco ad atmosfere inquietanti che si alternano col tema principale ed una seconda parte introdotta da un solo di chitarra e vocalizzi che fungono da strumento aggiuntivo; il finale è più rockeggiante, in senso classico, ma possiamo comunque dire che questo è tra i brani meno frastagliati degli otto.
“Garlic Venus” ripropone all’avvio delle avvolgenti sonorità mediorientali, accompagnate però da una ritmica ossessiva, a momenti dalle sonorità pesanti, con saz e clarinetto in evidenza. Il brano si fa via via più caotico fino a che i suoni metal prendono il sopravvento, con riff di chitarra cupi e tenebrosi; le atmosfere si fanno angoscianti ed ossessive fino alla chiusura, in lento sfumando, in cui rimane solo il coro di vocalizzi a tenerci compagnia.
L’ultimo brano, “Missing Pets”, inizia con una chitarra acustica con delicato accompagnamento di tastiere e sax. Il brano procede così, in maniera tranquilla ed onirica, crescendo molto lentamente ma mantenendo toni sognanti ed atmosfere ora ampie ora invece più intimistiche. Il finale, praticamente una ghost track, riprende, dopo lunghi secondi di silenzio, la telefonata al call center interrotta bruscamente molte tracce prima, questa volta con un delicato sottofondo fusion.
Siamo arrivati quindi in fondo di questo stranissimo album, decisamente particolare e ricco di spunti interessanti, pregno di una miriade di particolari che, è davvero il caso di dirlo stavolta, vanno scoperti ascolto dopo ascolto. E’ davvero difficile riuscire a catalogare univocamente la musica degli Öz Ürügülü: fusion, metal, world music, Prog rock… e tante altre cose. Il gruppo fa dell’eclettismo il proprio vero marchio di fabbrica; quel che possiamo dire è che le difficoltà incontrate nel reperire questo CD sono state ampiamente ripagate.



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Alberto Nucci

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