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PROFOUND A World of my own making autoprod. 2006 NL

Se i maestri sembrano presi da un costante momento di sbandamento ed insicurezza, sintomo di una fase discendente ormai irrimediabile, i loro allievi continuano a coltivare e tener vivi i loro insegnamenti, nel bene e nel male... Parliamo dei Queensryche e dei loro innumerevoli discepoli in ambito heavy metal: ancora oggi i seguaci della regina sembrano non voler cedere un passo di fronte alle novità musicali, sempre fedeli ad uno stile inconfondibile costruito su mid tempos cadenzati, voce squillante, introspezioni elettro-acustiche ed un diffuso senso di dramma incombente. "A World of my Own Making" è dunque il secondo cd dei Profound, quintetto olandese autore di uno stile piuttosto classico e ben inquadrato, sulla scia dei Queensryche di "Empire" e "Promised Land" ed i Conception di "In Your Multitude", con qualche spruzzatina di Fates Warning qua e là, specialmente negli arrangiamenti di chitarre. Dopo un disco d'esordio ("Deep and Sincere") uscito per la Adrenaline/Steel Heart Record nel 2003, i Profound si affidano all'autoproduzione per "A World of my Own Making" ed il risultato ci appare decisamente professionale ed impeccabile (o quasi) sotto ogni punto di vista, con l'aiuto di Attie Bauw (già all'opera con i Gathering e Rob Haldofr) per il mastering. Che dire, i dieci brani di questo cd non pretendono di essere originali o rivoluzionari, anzi... Come già accennato prima, con i Profound siamo in territori rock-metal piuttosto classici e raffinati, la discreta prestazione vocale di Pieter Bas Borger (autore di buona parte dei pezzi) richiama con una certa ovvietà la voce di Geoff Tate con una netta prevalenza dei toni medio-bassi, mentre i due axemen Gertjan Vis e Richard Tseng ci danno dentro alla grande ispirati ciascuno da Chris De Garmo e Jim Matheos, nell'alternanza di momenti acustici e slanci epici quanto sofisticati e suggestivi; infine la sezione ritmica, formata da Ron Heikens al basso e Bas Moerback alla batteria, fa il suo dovere con buon mestiere. L'impressione è così quella di un buon disco, in netta crescita specialmente nella sua seconda parte in cui gli arrangiamenti, gli assoli e le atmosfere si fanno sempre più elaborati ed intricati. Salvo dunque la mancanza di originalità e qualche piccola indecisione, "A World of my Own Making" riesce bene a farsi apprezzare...

 

Giovanni Carta

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