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PRISMA You name it Loudville Records 2012 SVI

I Prisma vengono fondati nel 2004. L’anno seguente vincono una competizione come gruppo emergente ed iniziano i primi concerti, anche a livello internazionale. Nel 2008 realizzano il loro primo album su Galileo Records, “Collusion”, ottenendo ottime recensioni su magazine svizzeri e tedeschi. Continuando a suonare con gruppi come Pain Of Salvation, Therapy, Gotthard e Riverside, il quartetto si addentra sempre più in uno stile che si divide tra l’alternative rock, il metal e l’ambient. Può essere definito prog? Se ciò contribuisse ad andare “oltre” gli stereotipi della forma-canzone, molto probabilmente sì. Il problema è che dopo un po’ i brani diventano stereotipo di loro stessi.
“You name it” sembrerebbe avere meno sortite orecchiabili rispetto al suo predecessore e la musica si compenetra in tutto e per tutto in quella nebbiosa luce verde di copertina, identificandosi con un sound “tecnologico” (in perfetta antitesi con la “solarità”) che tanto sembra coinvolgere sempre più band contemporanee. Ed alla fine, se non ci sono perlomeno delle impennate in fase solista, i pezzi finiscono per somigliarsi tutti.
Ci sono intuizioni molto interessanti, come la simil-ballad “The Loyal”, che pare davvero evocativa come sarebbe dovuto essere l’intero lavoro, o la lunga “Seceder”, dove finalmente si iniziano a sentire anche dei solismi ed il livello compositivo sale notevolmente. Intendiamoci, i ragazzi sono tutti bravi, soprattutto il bassista Marc Müllhaupt ed il cantante Michael Luginbühl, però il loro spirito di ricerca avrebbe dovuto portare il gruppo presso altri lidi, approdando a ben altri risultati.
Alla fine, pezzi come “123 Part 1”, “God’s Hair” o “Trigger Architect” piaceranno ai cultori del metal “alternativo”, che nella sua apparente ermeticità va a parare in una sorta di atmosfera che però è quasi sempre uguale a sé stessa. Può bastare tutto questo all’ascoltatore medio di progressive, assieme alla trovata, per esempio, di non inserire il pezzo n. 5 in track-list (dura sei secondi)?
Ascoltando le canzoni più volte si impara anche ad apprezzarle maggiormente, ma questo potrebbe non essere ancora sufficiente per far breccia pure in quell’audience a cui sembrerebbero puntare gli elvetici. Non vuole essere una bocciatura, ma l’incoraggiamento verso un tempestivo recupero.
Del resto, l’energia dell’iniziale “Epigone”, che potrebbe alla lontana ricordare anche i Red Hot Chil Peppers più psichedelici, sta a dimostrare che c’è tanta voglia di fare bene. Un buon punto di partenza potrebbe essere non usare sempre le medesime timbriche per i riff di chitarra…



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Michele Merenda

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