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PICOTAGE Je n’irai plus aux champs FolkClub Ethnosuoni 2008 ITA

Gruppi prog folk in Italia? Una vera rarità a vedere bene ed è per questo che sono rimasta molto sorpresa nello scoprire questa band milanese, attiva addirittura dal 1993, che piazza un bell’organo Hammond con tanto di Mellotron in mezzo alle tradizionali cornamuse e ghironde! La contaminazione con il Progressive Rock non è affatto causale, tanto che troviamo nella lista delle canzoni di questo album (il quarto in studio per la precisione) una cover di “Fol De Rol” degli Hatfield and the North” riarrangiata per organo, cornamusa e ghironda. Questo omaggio è comunque un’eccezione nel contesto di un repertorio essenzialmente tradizionale che si ispira ai motivi popolari delle regioni del centro della Francia, ed in particolare del Nivernais e del Morvan, contaminati comunque da colorazioni progressive. Il suono ronzante di questa canzoni deriva dall’uso estensivo di ghironde e cornamuse e, per quanto riguarda quest’ultima, viene preferita la musette du centre, una variante tipica francese. A suonarla sono addirittura in tre e cioè Marc Novara e Walter Rizzo, che alternano a questa la ghironda, e Gabriele Coltri, uno dei più stimati suonatori di cornamusa in Italia che qualcuno ricorderà senz’altro anche nella line-up dei Calicanto. Poi c’è Daniele Caldarini con Mellotron, Hammond Suzuki XB1 ed Oberheim OB3, e due bellissime voci femminili, quelle di Marie Antonazzo e Nadia Marolli che sfoggiano uno splendido francese. Mancano praticamente dei veri e propri strumenti percussivi ed il ritmo di danza è dato essenzialmente dagli strumenti a bordone e dalle tastiere che fanno all’occorrenza le veci del basso, oppure addirittura dal battere ritmico del piede (In “Attention au pas” è proprio il piede a battere il tempo per la cornamusa suonata in solitario), soluzione questa molto semplice ma che non toglie assolutamente piglio alla musica. Ne è dimostrazione tangibile la bellissima “Si j’étais donc mariée” guidata dall’incalzante organo Hammond usato a profusione per tutta la durata del pezzo. Le linee melodiche le disegna la cornamusa con fraseggi baroccheggianti mentre le ghironde, una in Re e l’altra in Sol, somigliano quasi alle cicale che friniscono instancabili nelle assolate giornate estive. Gli intrecci vocali, con la loro dolce ripetitività, sono incantevoli e ipnotici con un risultato finale trascinante ma anche decisamente originale. Molto bella è l’interazione di questi strumenti in “Le portrait” con l’organo che dona profondità alla canzone che gira come al solito attorno al ciclo del canto con un effetto vagamente psichedelico, in particolare è davvero notevole la conclusione strumentale per la sua commistione di suoni solenni ed agresti, vintage e folk. Molto belli anche i pezzi in cui vengono scelte soluzioni più semplici come la conclusiva “En revenant des noces” in cui la voce di Marie è sostenuta da una morbida base di organo e da qualche ricamo di flauto a becco, oppure come il breve pezzo di apertura fatto soltanto con il Mellotron e la cornamusa, accoppiata questa decisamente accattivante e particolare. Le canzoni popolari di questo disco sono riprese dal certosino lavoro di Achille Millien che, alla fine dell’Ottocento, le trascrisse traendole dalla tradizione orale dei vecchi contadini, diverso è invece il caso di “Pour la mort d’un bourdon”, un malinconico valzer scritto da Gabriele Coltri (uno dei pochi pezzi autografi dell’album assieme a “Mon jeune temps passé” e “Bourrée des brunes et des blondes”) e ironicamente dedicato alla morte di un povero bombo. La parola francese bourdon designa infatti sia l’insetto che il bordone e per l’occasione, sia la ghironda che la cornamusa, in segno di lutto, suonano appunto senza bordone, tenendo fede al doppio senso del titolo. Trovare dei gruppi di riferimento è davvero difficile perché, anche guardando verso i cugini d’oltralpe, non mi sembra proprio di trovare niente di simile. Soltanto per la scelta del repertorio potrei ricordare i Gentiane che si ispiravano sempre alla musica della Francia centrale e in particolare dell’Alvernia, ma gli arrangiamenti fanno nel nostro caso la grande differenza dando alle composizioni una veste molto personale. Spero che questo album, che al momento in cui scrivo ha già qualche annetto sulle spalle, possa trovare un seguito con musica arrangiata anche in maniera più ricca. Il valore di questa band è assolutamente fuori discussione e credo che questa possa tranquillamente raggiungere risultati addirittura superiori rispetto a quelli ottenuti in quest’opera che rimane assolutamente consigliata ed inspiegabilmente ignota al mondo del Progressive Rock al quale, ironia della sorte, viene esplicitamente rivendicata l’appartenenza.


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Jessica Attene

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