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PHLOX Vali MKDK 2013 EST

Quinto album per la band della capitale estone Tallinn, stavolta eseguito dal vivo per la Klassikraadio (Estonian Classical Radio). Sette brani, di cui cinque assolutamente inediti, emblema di una realtà jazz-rock dissonante volta a quella ricerca continua che spinge a non dormire mai su schemi positivamente collaudati. Il sestetto, soprattutto durante i primi anni, ha cambiato spesso line-up, trovando un suo consolidamento attorno il 2004, con l’uscita del secondo “Piima”. Tre anni dopo, la stabilizzazione definitiva con il batterista Madis Zilmer, proveniente dai connazionali Beggars Farm, e la pubblicazione del potentissimo “Rebimine + voltimine”, che li avrebbe finalmente resi noti all’audience internazionale. Nel frattempo, già con l’uscita precedente il gruppo era entrato nel circuito MKDK, etichetta nazionale di jazz-rock ed avanguardia, nonché associazione non-profit e soprattutto autentico movimento di artisti/musicisti che, di sovente, si scambiano i ruoli confluendo nelle differenti realtà musicali. Fenomeno che riguarda specialmente band come Lippajad, Beggars Farm e, per l’appunto, Phlox. Tutto torna, quindi. E questo “Vali” (che dovrebbe significare “Forza”) è l’attuale e glorioso manifesto dell’intero movimento.
Un concerto per radio, come quelli che si trasmettevano un tempo, con tutta l’aria di accademia e di mistero che l’esperimento comporta; il pubblico si sente applaudire in lontananza alla fine di ogni brano, rimanendo in religioso silenzio durante l’esecuzione, donando, al contempo, sia la sensazione dell’impeccabilità di uno studio di registrazione e sia il groove inimitabile di una riuscita interpretazione in presa diretta.
Con la pubblicazione di “Talu” (2010) sembrava che i Phlox si fossero scrollati di dosso la corazza del durissimo jazz avanguardistico di “Rebimine…” in favore di qualcosa di altamente raffinato e godibile ad ogni nuovo ascolto, nonostante la proposta niente affatto semplice; l’inizio ai limiti del cacofonico con “80.000 ljööd maa all” poteva far pensare ad un ritorno sui propri passi, ma la scioltezza con cui il brano si evolve porta alla costatazione che per i baltici sono presenti nuovi passaggi all’orizzonte, con un approccio chitarristico ad opera di Kristo Roots simile ai colleghi che operavano nel medesimo settore durante i Seventies. Di certo, uno dei protagonisti indiscussi della serata è il sassofonista Kallen Klein, che in “Almus” conduce avanti e indietro lo sbigottito ascoltatore, trasportandolo dalle atmosfere soffuse prodotte dalle tastiere sapienti di Helenerum ai violenti giochi Frippiani di Roots, senza dimenticare il basso virtuosamente preciso di Raivo Prooso. La chiusura “serenamente notturna” di Klein porta a quello che sembra essere l’attuale orizzonte musicale dei Phlox di cui si parlava poco sopra, assolutamente più vicino alle radici jazz.
“Küttearve päikeselt” è un ritorno a quanto fatto su “Piima”, ma in maniera più professionale e consapevole dei propri mezzi tecnici (non è dato sapete quello che hanno combinato sull’esordio “Fusion” del 2000, visto che è talmente introvabile… che non ce l’hanno nemmeno loro!). Qui si registra un gioco di squadra in cui l’interazione la fa assolutamente da padrona, con Klein, Zilmer ed Helenurm tanto vintage quanto avanguardistici (non può certo essere dimenticata la lezione impartita nel 1973 dai danesi Secret Oyster con il loro primo album). Proprio Helenurm è autore della seguente “Hülge hing”, attaccando con un pianoforte quasi da antica fiaba ambientata in Anatolia e seguito da Klein che traccia le linee di una musica composta davanti a quella che deve essere la porta divisoria tra Occidente ed Oriente, con annessi i rumori dei cardini che risuonano ribelli, mentre Roots vi si affaccia concludendo nello stile che ricorda un po’ Frank Zappa di “Let’s move to Cleveland”. Viene da chiedersi, magari assurdamente, quale sarebbe potuto essere l’effetto di una jam con Miles Davis su questo pezzo…
Ancora momenti eccellenti in “Paigalelend”, in cui la chitarra nello stile dello Zappa più jazz-rock continua ad echeggiare sul tappeto percussivo ed agile di Zimler ed Allan Prooso, lasciando poi le luci della ribalta ad un sax sempre più padrone incontrastato di una situazione che, senza nemmeno accorgersene, è diventata esaltante come non mai. E dopo una gran cavalcata, Klein fa risuonare le note desolate di “Hunt”, che assieme alla conclusiva “Kurehirm” era comparsa già in “Rebmine…” . Versioni un po’ diverse, ma soprattutto la succitata “Hunt”, con tuffi violenti nelle turbolenze crimsoniane, è da ascoltare con parecchia attenzione, perché dal vivo risulta un’esecuzione diretta che colpisce duro nel segno, con i suoni analogici di uno scatenato Helenurm che sconfinano anche nelle terre arabe. “Kurehirm” è la quieta conclusione, che vede ancora una volta Klein commentarla come interprete principale.
Tutta l’ambientazione di questo concerto tenutosi il 25 aprile 2012 (chissà se anche per loro è una data significativa…?) risulta perfettamente funzionale al prodotto immesso nel mercato discografico. La sensazione è proprio quella di aver sentito uno di quei concerti dotti, che l’immaginario collettivo ha spesso collocato negli ex territori sovietici, esempi tipici della severa, impeccabile e cerebrale esecuzione di oscuri super professionisti. La realtà è un tantino diversa. I Phlox si divertono a recitare la parte di loro stessi, dimostrando di possedere un auto-umorismo che invece manca a molti presunti sapientoni. È vero, non è musica delle più facili, ma la sfrontatezza di base sembra non voler escludere nessuno a priori.
Da sentire con calma, soprattutto durante le fredde serate invernali. E magari poi risentire dopo che si sono posati i sedimenti, come una bevanda alcolica dal gusto forte, da sgrezzare, che necessita di riflessione per essere in toto apprezzata.



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Michele Merenda

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