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A PRESENÇA DAS FORMIGAS Ciclorama autoprod. 2011 POR

Si dice che chi trova un amico trova un tesoro ed un tesoro lo è stato davvero l’amico David Masciavé a consigliarmi l’acquisto di questo album. Non solo infatti ha individuato alcune delle caratteristiche che apprezzo ma è riuscito a scovare un’opera deliziosa al di là delle mie personali preferenze musicali. Il folk, una bella voce femminile, elementi cameristici non invadenti e stuzzicanti, la musica popolare portoghese, un tocco di sinfonicità e anche riferimenti letterari a Josè Saramago, scrittore che adoro. Tutto qui, e non è poco per un gruppo che al suo esordio discografico è riuscito a deliziarmi con una formula semplice ma personale e ricca di sentimento.
Il nome curioso e lungo che il gruppo si è scelto deriva da una canzone del celebre cantante portoghese José Zeca Afonso che è stata riproposta in chiusura dell’album in una versione decisamente più progressiva rispetto all’originale e alla quale è stata unita la prosa di Saramago, recitata al termine del brano. Il testo del Nobel portoghese è tratto dal romanzo “Una terra chiamata Alentejo” e parla della silenziosa indignazione delle formiche, testimoni del pestaggio di un bracciante agricolo da parte delle autorità, colpevole di rivendicare più umane condizioni di lavoro. Le cause del suo decesso vengono negate dall’esame dell’ufficiale sanitario che, per non mettersi contro i padroni del latifondo, se ne lava le mani. Sullo sfondo ci sono loro, le formiche, che pur non potendo parlare, hanno visto tutto. Ma questa non è una semplice canzone di protesta ma pura poesia. Lo dicono i versi stessi di José Afonso, così delicati nell’inneggiare alla libertà, o la voce ondeggiante di Teresa Campos, o la dolce e tenera tristezza che pervade questo album, nei momenti più lirici e malinconici come anche in quelli più gioiosi. Sono i primi quelli più soavi e fra i momenti di intensa e languida malinconia che amo ricordare ci sono quelli di “A menina da canasta”, con la voce della cantautrice Amélia Muge, qui ospite, che si intreccia dolcemente a quella di Teresa e gli arrangiamenti cameristici lievi e sofisticati che in qualche modo ricordano i Gentle Giant (o ancora meglio gli Echolyn acustici di “And every blossom”), le trame ritmiche morbide e jazzate, col contrabbasso e una batteria felpata, gli eleganti dialoghi fra flauto, violino e pianoforte. Altre assonanze le trovo qua e là con i connazionali Dazkarieh, anche se l’impronta rock è qui decisamente meno pronunciata. A prevalere in effetti sono ovunque le tinte acustiche, con una bella varietà di strumenti a corde che comprendono chitarra acustica, bandolim, guitarra portuguesa, oud, cavaquinho e viola braguesa mentre il pianoforte ed il Rhodes offrono un tocco moderno e sofisticato a spartiti fortemente intrisi di essenze popolari ma tutt’altro che rustici. Proprio il Rhodes scalda le note della languida “Mar de verde cheio” che presenta arrangiamenti complessi ma allo stesso tempo tenui, con riflessi Canterburyani che affiorano dolcemente qua e là. Sempre per la particolarità degli arrangiamenti, questa volta più cameristici, si distingue la successiva “Terra”, cupa e seducente, con colorazioni particolari date dalla cornamusa e dal sax soprano. Nei momenti più festosi emergono invece assonanze con i Trovante di “Baila no bosque”, come nell’allegra “O meu amor viu tempestades”, in cui compare una bella fisarmonica che si muove su ritmi di danza, o anche nella buffa “Sátira a leanor”. Il cantato, che spesso ricorda i modi del fado, è senza dubbio un elemento chiave ma si incastra in un tessuto musicale prezioso e ricco di particolari raffinati, che emana il calore della tradizione e allo stesso tempo presenta la freschezza di un sound moderno.
Insomma, sto parlando di un album affascinante, vario ed ammaliante che sono sicura verrà apprezzato dagli amanti del prog folk.


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Jessica Attene

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