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PPQ (PICCOLA PAUSA QUOTIDIANITA’) PPQ 432 Hz music autoprod. 2014 ITA

PPQ, una piccola pausa dalla quotidianità ma anche uno psycho/prog quartet, nome che insomma racchiude in un sol colpo l’intento poetico e lo stile del gruppo. In realtà il Quartet, nato come trio dall’incontro del cantautore Stefano Ricci con il flautista Massimo Falchi ed il chitarrista Federico Civiltà, si è col tempo espanso a Quintet, con l’arrivo di una nostra vecchia conoscenza, e cioè del bassista Gianluca Avanzati (ex Notabene e Moogg), e del batterista Gabriele Lombardi che soppianta le percussioni di Nunzia Terranova che invece è di ruolo in questo mini album. Questo breve esordio infatti mostra ancora una prima incarnazione della band in formato di Quartet, con il trio originale affiancato da Nunzia, come appena spiegato, più una serie di ospiti con Caterina Fezza alla voce solista, in una sola traccia, e ai cori, Dario Bonometti alla chitarra acustica e Fabio Scaimana alla tromba, in soli due episodi. Dopo le presentazioni di rito occupiamoci della musica, sapendo tuttavia che l’arrivo di nuovi elementi sta già portando nuovi fermenti creativi ed idee in fase di evoluzione. L’espressione psycho prog (più psycho e molto meno prog in realtà) mi può andare benissimo, considerando però che vi è una decisa vena cantautoriale ed un pizzico di folk, inteso non tanto come recupero della tradizione locale europea quanto all’americana, con un approccio strumentale piuttosto scarno e la voce a guidare l’ascolto. In questo caso però non vi sono canti di protesta ma versi poetici molto evasivi con pensieri appena tratteggiati che volano via, lasciando immagini fugaci a volte dai colori autunnali e altre volte dagli incantevoli riflessi pastello.
Il breve strumentale in apertura sintetizza molto l’universo musicale del gruppo e ci porta istantaneamente nel vivo cuore dell’album. “Tema 2”, questo è il suo nome, si basa su ritmi cadenzati scanditi dall’onnipresente chitarra acustica e dal flauto e gode di ampi riverberi psichedelici. Molto bello il lungo assolo di chitarra elettrica che attraversa un impianto strumentale molto semplice e diretto. Non so come ma ho pensato ad una sorta di primigenio Bacio Della Medusa, in versione molto più leggera, fragile ed ingenua. In “Verso il centro di un’idea” i colori si sfumano, il suono del flauto è più vellutato e le chitarre acustiche carezzevoli. Le percussioni tradizionali sono adatte a questo contesto pittorico e la chitarra solista, un po’ bluesy, questa volta ha un pizzico di acidità. In “Nuove partenze” la tromba offre un effetto oscuro, quasi nordico, e la chitarra solista ha un che di Floydiano. Gli elementi cantati questa volta sono frammentati e ben sostenuti dalla chitarra acustica. Ne “Lo specchio del ricordo” si affianca alla voce di Stefano quella acuta di Caterina che questa volta, sì, fa pensare a qualche canto popolare della nostra penisola. La sua intonazione, così distante da quella monotona e rassicurante del partner maschile, ha un effetto piuttosto stridente in questo flusso sonoro privo di sbalzi. Più movimentata è invece la successiva “Una piccola pausa (dalla quotidianità)” in cui si cerca di imprimere un certo ritmo al cantato, con la complicità di un flauto sbarazzino e di uno stile che a tratti si veste di funky, con un buffo effetto patchwork dato dall’inserimento di un coro infantile. Il dischetto volge presto al termine ed è già il tempo della traccia di chiusura, “Òniro – a sud di un sogno”, brano ancora una volta incentrato sul cantato, con la musica che gli si stringe premurosamente attorno seguendo un andamento pigro e un po’ bluesy.
La sensazione è quella di un album scarno e artigianale con buone trame di base che potrebbero essere ulteriormente riempite e questo, immagino, avverrà già in un futuro molto prossimo. Si tratta senza dubbio di un buon biglietto da visita, fatto di idee oneste che prendono forme ruvide e poco sfaccettate, qualcosa per sognare distrattamente ma senza farsi grosse illusioni. Come premessa mi va benissimo, non ci resta quindi che attendere con curiosità il prossimo capitolo sperando che quest’opera così piena di speranze porti presto i suoi bei frutti maturi e succosi.
Ah, quasi quasi dimenticavo di spiegarvi una piccola curiosità: quel 432 Hz che vedete nel titolo si riferisce a un tipo di accordatura, detta aurea o scientifica, già usata da Verdi, in cui il La centrale è intonato appunto a 432 hertz, questo conferirebbe agli strumenti e alle voci un timbro più caldo e naturale. Bene, in effetti il disco emana calore e naturalezza ma non so in effetti quanto possa dipendere dall’accordatura e quanto dalla semplice spontaneità di questi musicisti. Magari i più esperti di voi sapranno trarre delle considerazioni più precise delle mie. Nel caso fatemi pure sapere.


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Jessica Attene

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