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PANZERBALLETT X-Mas death jazz Gentle Art Of Music 2017 GER

Arriva Natale e a tutti piace canticchiare le simpatiche canzoncine tipiche di questo periodo!!! Sarà proprio così? Hmm… forse non proprio a tutti! Prendiamo ad esempio il classico ascoltatore prog un po’ riccardone e con la sua sana dose di spocchia che abiura qualsiasi forma musicale che non sia in 27/15, non abbia abbondanti colate di mellotron o non sia conosciuta da più di una quindicina di persone in tutto il mondo (e via con qualche altro luogo comune). Il nostro povero amico si trova quindi costretto, in questo periodo dell’anno, a sorbirsi un’overdose di canzoncine dai ritornelli assillanti e zuccherosi e il Natale, che per tutti è sinonimo di gioia e festa, anche quest’anno si tramuterà in un incubo in 4/4! O forse no?
Non disperatevi cari amici!!! Quest’anno arrivano a liberarvi i Panzerballett dalla Germania con le loro reinterpretazioni delle tanto odiate canzoncine in salsa death jazz (esiste come genere?) e che nelle loro dichiarazioni d’intenti, con questo album, vogliono offrire una soluzione a tutti coloro che non ne possono più delle città affollate, la neve sporca e i disgustosi vini speziati.
Il gruppo teutonico non è nuovo ad improbabili cover, ci ricordiamo bizzarre reinterpretazioni di pezzi come “(I'veHad) The Time of My Life” (dal film Dirty Dancing), la sigla dei Simpsons, “Gimme, Gimme, Gimme” degli ABBA e via dicendo. Tuttavia, mentre in passato si erano limitati ad una o due cover all’interno di un album, questa volta hanno voluto esagerare con un album intero!
“X-Mas Death Jazz” è infatti composto unicamente da rivisitazione estreme dei brani natalizi più famosi secondo il classico stile del gruppo tedesco. In un mix di avant-prog, jazz e metal, ritroviamo tutti le canzoni più famose, da “Jingle bells” a “Rudolph the Red-nosed Reindeer”, da “Let It Snow” a “Little Drummer Boy”, da “White Christmas” a “Last Christmas” di George Michael! Tutti i brani sono stati completamente deassemblati e rimodulati a loro piacimento tanto da renderli quasi irriconoscibili, se non fosse per dei piccoli brandelli che riprendono fedelmente i refrain originari. Il gruppo, come già dimostrato in passato, ha capacità tecniche mostruose e riesce nell’impresa alchemica di trasformare questi brani in pezzi loro. A questo bizzarro progetto collaborano peraltro musicisti di tutto rispetto come Mike Keneally (Frank Zappa), Matthias IA Eklundh (Steve Vai Group) e Jen Majura (Evanescence). Il punto però di tutto è: che senso ha tutto ciò? Ma soprattutto ci piace il risultato finale? La mia risposta è onestamente: no!
E’ difficile non pensare che sia un mero esercizio di stile o una masturbazione musicale che non ha portato ad un risultato concreto. In fin dei conti stiamo parlando di musica e la cosa più importante è che debba trasmettere emozioni, che debba coinvolgere l’ascoltatore. Il risultato di questo album è un disco estremamente freddo e anche monotono. Le soluzioni adottate per distruggere e ricostruire i pezzi sono spesso simili, estratti vocali ripetuti in maniera ossessiva, ritornelli inseriti su strutture musicali iper-complesse. Alla fine tutto ciò rende la proposta alquanto piatta e più ripetitiva di quanto potessero essere le versioni originarie. La sensazione è che si siano divertiti più loro di quanto ci divertiamo noi nell’ascoltare quest’album.
Onestamente l’unico risultato che ha avuto su di me quest’album e di farmi venir voglia di ascoltare nuovamente le versioni originali. Ora comunque si è fatto tardi, devo uscire a comprare gli ultimi regali e perché no farmi un buon bicchiere di vino speziato!
Buon Natale a tutti!



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Francesco Inglima

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